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BOMBARDARE I CUTRONI

Federico Gattini 1998

Pure gli alberi mi fanno paura.

E le cose che ricordano casa.

E le cose troppo differenti da casa.

Cammino per le strade di questa città - la mia ex città? - come a cercare un nuovo equilibrio in questo atto così semplice e ripetitivo.

Camminare.

Un passo dopo l’altro.

Sovrapporre a questa realtà fisica una mia nuova mappa di rovine e distruzione, rovine che nessuno può vedere e nessuno conosce.

Mura. Viali. Monumenti a caduti ignoti quanto le loro vittorie; le loro sconfitte.

Una città di ricordi, una sorta di realtà virtuale ove rifugiarmi, ogni tanto, a fumare una sigaretta.

Provo a farmi una ragione di questo mio essere qua - dall’altra parte?- ma non ci riesco e, allora, quando mi sembra di non farcela più, quando anche il sedersi in quel lecceto che una volta era casa mia mi fa paura - vi cerco voci. Fantasmi di voci e di suoni. Il mio cane, Schoenberg e Fripp, a volte mi sembra pure di udirli, lontani, sfumati, indistinguibili dall’osceno rumore di fondo di questo bosco, quando mi sento così preferisco salire su un treno e lasciarmi portare via, da qualche parte.

Campi di grano, betulle. Ancora grano, poche case, corvi. Grano. Le betulle mi sembrano le più veloci, forse perché sono così fini, così fitte.

Scorrono i paesaggi sul finestrino e alla lunga il ripetersi di questo mantra -betullecampidigranocasecorvicasegranobetulle- riesce a calmarmi al punto di farmi ragionare.

Heisenberg aveva ragione, mi dico. Il senso del principio di indeterminazione è questo, lasciar perdere, che l’infinitamente piccolo non ha senso per noi, è come se fosse un altro universo, con altre leggi ed altri dei; lasciar stare neutroni, neutrini e, soprattutto, quei fottutissimi cutroni che non se l’aspettava nessuno che saltassero fuori certi casini ad andarci attorno.

Io di quel giorno non ricordo che poche cose e, forse, queste non sono nemmeno ricordi ma immagini che mi porto dentro da chissà quale film. Deve essere saltato il laboratorio, magari è saltata mezza città o tutto il pianeta, non so. So solo che ho avuto la netta sensazione di morire e, subito dopo, di risvegliarmi da un’altra parte.

Qua, appunto. Che non so ancora se sia il futuro, o un universo parallelo o, solamente, se sia io ad essermi immaginato tutto quello che per me è stato il mondo reale e questa, questa, per sempre, sia stata la realtà, il mio mondo.

Un mondo che mi appare strano, dove tutti paiono essere - in qualche modo a me alieno - felici, appagati.

Dove Adolf Hitler, mi dicono, è stato un campione della democrazia, le musiche composte da Jovanotti cerebrali e toccanti allo stesso tempo ed i suoi romanzi affascinanti.

Dove l’unico a sentirsi fuori posto, a questo punto, sono io.