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Numero 4 Roma, 18 Gennaio 2000


Editoriale del 2000

di
Massimo Mongai

Buon anno...

Buon anno, sia pure in leggero ritardo, auguri a tutti gli amici e a tutti gli appassionati del FanDom.

Usciamo con questo numero di Fantafolio con un po' di ritardo rispetto ai programmi e ce ne scusiamo con i nostri 23 lettori. Unica scusante che possiamo addurre, a parte la pigrizia creativa che è la nostra vera motivazione, è il fatto che ci siamo messi a discutere delle molte cose che vorremmo fare e a forza di mettere carne al fuoco, ci siamo trovati con molta roba cotta bene e un po' troppo cotta e un po' al sangue.
Insomma seguiteci ne vedrete delle belle.

Il 18 Dicembre la Cena del Cuoco d'Astronave si è tenuta con successo al Machiavelli, al punto che ripeteremo a breve.Vi terremo informati.

Entrano a far parte del nostro gruppo, in pianta stabile speriamo, Leo Sorge, caporedattore di Fictionaire, insieme a Francesca Fuxa, già autrice di un articolo sullo scorso numero di Fantafolio.

Fra i progetti a breve intendiamo portare avanti il nostro progetto di "adunata degli stati generali" della fantascienza romana, intesa come gli appassionati di fantascienza che vivono a Roma (fra di noi lo chiamiamo "Ardiatece li baccelloni", ma fate finta che non ve lo abbiamo detto).

Che dire di più. Molto ci sarebbe ma per scaramanzia, per ora taciamo. A presto.

Nigralatebra (nel suo piccolo) si puo' vantare di essere uno dei pochi partecipanti alla comunicazione di massa su questo pianeta a non aver parlato del millennium bug. Siamo contenti quindi di continuare a non farlo.

DeepConOne: Fiuggi, 3-5 marzo
Impossibile perdere il primo fantacontenitore
che va dalla A di Asimov alla Z di Zardoz

di Leo Sorge

Nel nostro Paese il panorama delle riunioni che parlano di fantascienza è quello dei fiori nel deserto. Belli e coloratissimi, ma troppo radi, rispetto ai giardini delle altre nazioni. In parte questo vuoto, nel tempo, è stato colmato dalle tante minicon, riunioni a carattere locale di piccoli gruppi di appassionati. Questo tessuto, pure importantissimo, non può colmare da solo il vuoto. Inoltre le minicon e gli altri appuntamenti più importanti condividono un problema di fondo: la monotematicità. Star Trek è Star Trek, Star Wars è Star Wars, Anime e Manga sono Anime e Manga, e così via.

Qualcosa si sta muovendo, soprattutto a Roma. Parlando di Convention va assolutamente segnalata la prima DeepCon, la riunione dedicata a tutta la fantascienza. L'organizzazione e' di Deep Space One (DS1), il gruppo romano che fa capo a Francesco Miranda. Nata come costola dello Star Trek Italian Club (STIC), ma con una sviscerata passione per la terza serie, Deep Space Nine (DS9) e per i Borg, DS1 (http://www.deepspaceone.com) sta portando avanti un proprio progetto globale che non esclude nessun aspetto della fantascienza.

Tra le realizzazioni pratiche spiccano l'Enciclopedia Galattica Online e appunto la DeepCon One. Si tratta d'un appuntamento dato a tutti gli appassionati di fantascienza, che potranno incontrarsi a Fiuggi nei giorni 3, 4 e 5 marzo. Impossibile dire tutto quello che succederà, per cui vi rimandiamo al programma completo, disponibile sul sito. Possiamo però anticipare alcuni elementi importanti: l'assoluta trasversalità dell'evento rispetto ai vari cult (Dark Skies, Capitan Harlock, Doctor Who, Spazio 1999, X-Files, Flash Gordon, Ai confini della realtà, Kronos, UFO, Gundam, ma anche Star Trek e Star Wars); la sponsorizzazioni di realtà importanti, a partire da Canal Jimmy, la TV satellitare specializzata nei serial di science fiction; la presenza di un ospite d'eccezione come Ed Bishop, l'indimenticato comandante Straker di UFO, che inoltre consegnerà il premio per il miglior costume di tutta la fantascienza. Tra gli ospiti anche Gabriella Cordone, notissimo nome nella fantascienza italiana (simbionte dell'ammiraglio Lisiero nella creazione dello STIC) ma che verrà ospitata in qualità di sceneggiatrice di Nathan Never.

A giudicare dall'impianto complessivo della stessa DS1 mi sento di dire che l'evento avrà un grande successo, probabilmente superiore a quello immaginato dallo stesso Francesco Miranda. Franius dei Borg -così ama farsi chiamare- usa la sua grande inventiva per l'organizzazione, ma non la tramuta in frenesie di successo. Che invece merita.

Ormai introvabile ovunque:
non c'è in libreria,
non c'è nemmeno dai Remainder
dai robivecchi e dai "cartonari" inutile provare
nemmeno al mercato per incartare le uova lo usano più
Quindi scaricate qui da noi
la quinta parte del "mitico"

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The Cube

Recensione di Francesca Romana Fuxa Sadurny

Quello che vi sto per commentare è un film uscito nelle sale l'anno scorso e poco pubblicizzato..ma veramente bello e appassionante.

Cube, come dice la parola inglese, è un cubo e questa figura solida ricorre in tutto il film in modo ossessivo e angosciante…..

Il film è opera di canadesi ed è stato girato in completa economia…si pensa che sia stato uno dei film di fantascienza meno costosi degli ultimi anni.

La storia ricorda, come emozioni, i migliori film di Gilliam ma se ne discosta per un dato….appare reale, nel senso che sembra un tremendo gioco di allucinazione ma così non è.

L'incontro tra persone apparentemente diversissime le une dalle altre costituisce, forse, l'aspetto più innovativo del film…queste persone di diversa estrazione sociale e anche di diversa nazionalità si ritrovano, senza sapere come, dentro un cubo da cui devono uscire; chi non si ricorda del gioco, non tanto infantile, del cubo magico? Anche qui bisogna allineare una facciata…perché solo così si potrà uscire dall'interno del cubo ma… (c'è sempre un ma in questi casi!) uscire dal cubo non è affatto facile perché bisogna capire e leggere bene alcuni dati forniti dalle porte che servono da collegamento tra una facciata e un'altra del cubo.

Cube è degno dei migliori film di fantascienza nonostante non vi siano grandi effetti speciali e nonostante manchino scene a "cielo aperto"….le riprese sono tutte effettuate all'interno di questo cubo molto colorato ma sicuramente chiuso…chi è agorafobico potrà risentirne un po' perché questa ambientazione, mirabilmente accentuata dal regista, costituisce l'inizio e la fine del film…è il cosiddetto leit motiv..tutta la vicenda, è il caso di dire!, ruota nel cubo.

Gli attori, perfetti sconosciuti, sono molto bravi; le caratterizzazioni dei personaggi sono mirabili e vi sono anche molti colpi di scena inaspettati.

L'impatto emotivo di questo film è forte anche perché è facile riscontrare in esso tutta una serie di paure che sono tipiche dell'uomo: le paure relative alla morte, alla solitudine e alla incomprensione….ma quello che più si apprezza nella sceneggiatura e nell'ambientazione è proprio l'assenza di dialoghi profondi e di spazi…perché per comprendere quella ansia, per capire fino in fondo l'angoscia degli attori bisogna immedesimarsi in loro…ed è questo che il regista è riuscito a fare…si può immaginare la sofferenza e si lotta, internamente, per la salvezza dei protagonisti.

Un film da vedere e da apprezzare nei dialoghi brevi, negli sguardi e nei colori…sì, perché quello che non manca sono i colori…..i colori del cubo ovviamente!

Non si dice Gobba al Gobbo
ovvero
I Come ed i Perche' della Critica Malevola e Non

di

Massimo Mongai

Mia madre diceva sempre: non si dice gobba al gobbo, intendendo che se incontri una persona con un difetto evidente e visibile, cio' non ostante, per elementare buona educazione, non e' il caso di farglielo rilevare.

Per traslato e per personale esperienza umana e culturale ho sempre considerato che quando si critica qualcuno o qualcosa, dato che la liberta' di critica e' uno dei fondamenti della cultura borghese, occorre sempre rispettare la buona educazione. Il che all'atto pratico vuol dire che non si puo' stroncare senza motivo, senza esplicitare , dichiarare, sciorinare, dettagliare i motivi.

Se una critica negativa (ma se per questo anche positiva) ad un film, ad un libro, ad un quadro, ad una idea, non porta con se anche il perche', va ignorata. Per tanti motivi ma soprattutto perche' e' profondamente disonesta, soprattutto sul piano intellettuale. E l'onesa' intellettuale e' a mio parere l'unico valore che ci sia rimasto.

Una stroncatura senza dettagliati perche' nasconde soprattutto paura ed ignoranza, oltre al livore da incapacita' creativa del critico, che NON si espone, con i motivi.

Chi si espone e' l'autore. Scrivere, pubblicare, operare nella realta' del mercato dell'industria culutrale in genere, significa esporsi.

Io mi sono esposto.

E da quando e' uscito "Memorie di un cuoco d'astronave" ho ricevuto molte mail entusiaste di fans, commenti per lo piu' positivi di amici (ovviamente!), la soddisfazione delle 26.000 copie vendute.

E molte critiche , sia sulle e-zine sia su carta. La totalita' delle quali, per lo meno di quelle che ho visto io, negative. Fossero state motivate ne avrei parlato, su NL o ai critici direttamente.

Ma non lo erano.

Una critica negativa motivata e' giusta o sbagliata. Se e' sbagliata, non mi tocca, anzi, mi rafforza nella mia idea. Se e' giusta mi aiuta a tarare il tiro, mi aiuta a migliorare. E questo e' il motivo per cui non ho risposto (e non rispondero' mai) alle critiche negative non motivate. Perche' dovrei rischiare di migliorare il lavoro di critici disonesti?

E su "Memorie..." sic satis.

Qualche giorno prima di Natale facendo web-surfing ho trovato una critica a "Il gioco degli immortali" di Roberto Sturm, su www.intercom.publinet.it, nella parte intitolata Fahrenheit 451

La riporto con alcuni commenti, perche' mi sembra un ottimo esempio del tipo di critica che merita una risposta.

La critica e' riportata per intero in corsivo ed e' intervallata dai miei commenti.

"Urania ripropone uno dei più recenti vincitori del Premio Urania, quel Massimo Mongai che con il suo Memorie di un cuoco d'astronave aveva innescato più di un dibattito polemico all'interno degli appassionati e addetti ai lavori. Su consiglio caldeggiato da più di una persona di cui mi fido a livello estetico, avevo evitato di leggere quel romanzo, ma questa riproposizione della casa editrice milanese ha, alla fine, stuzzicato la mia curiosità. Il gioco degli immortali non mi sembra un capolavoro.

Sia ben chiaro: non ho mai preteso di scrivere capolavori. Diro' di piu' il mio obiettivo e' da sempre di scrivere cose in linea con la collana, fantascienza di genere, pulp fitcion vera, pura, rasoterra, roba da leggere seduti al cesso (Vedi "Il Grande Freddo" ed i commenti di Jeff Goldblum)

Nonostante la storia non sia deprimente, niente di nuovo e niente di eclatante, direi. Devo ammettere, però, che almeno un minimo la storia prende, nonostante il romanzo sia condito da uno stile troppo semplice e semplicistico e risenta di non infrequenti cadute di tono (frasi e considerazioni sparse) che non concorrono a dare alcun spessore al racconto. Sia da un punto di vista narrativo che scientifico e sociale.

Questo forse e' vero e forse no. Non si e' mai abbastanza semplici, e ad essere semplicistici si e' sempre in torto. Frasi e considerazioni sparse? E' vero, ma e' davvero grave? A me sembra alleggerisca e sveltisca la lettura. Non c'e' spessore? Beh, io non ho minimamente inteso mettercelo.

Risulta fastidioso, per esempio, l'amore del protagonista per le armi, le eccessive citazioni e descrizioni che fa di esse. Esasperate, a volte.

Chi e' che parla male dell'amore per le armi? C'e' forse qualcuno che dice che amare le armi e' male? Mai sentito dire. Io ad esempio , pur non possedendone (ok, ho una piccola collezione di coltelli da lancio , che so usare anche abbastanza bene...) di moltissime conosco la storia, i particolari, i modelli, le prestazioni. Mi piacciono le armi. Sono simboli fallici? Ah, si? Toh, non me ne ero accorto. Beh, cosa c'e' di strano? Non vi piacciono i simboli fallici? E perche'? Un tempo Priapo era un Dio, dalle nostre parti. E poi se il personaggio e' cosi', che colpa ne ha lui? Deve lottare per sopravvivere. Muore spesso, lui. Non e' ovvio che ami le armi? O bisogna lasciarle ai cattivi? Sia chiaro:tutte le teorie sul disarmo unilaterale sono pura follia. Millemondi Urania ha pubblicato qualche hanno fa un bellissimo racconto ucronico (non ricordo di chi, se lo sapete fatemelo sapere) in cui i nazisti vincevano a Stalingrado ed arrivavano in India. Gandhi ci faceva una bellissima figura con le sue altissime e bellissime teorie sulla non-violenza. Che andavano bene per gli inglesi. Finisce fucilato in poche pagine, cosa che gli inglesi non avrebbero mai osato fare. Ma certo, l'ufficiale di un esercito che solo in Russia ha fatto 20.000.000, dicesi 20 milioni, di vittime fra civili e militari, beh, ovviamente non esita. Un assassino? Vero. Un cattivo assassino armato lo ferma un buono armato, possibilmente meglio armato del cattivo. Se e' in compagnia, tipo dieci buoni contro un paio di cattivi, meglio. Andatevi a leggere la lettera al figlio di Umberto Eco in Diario Minimo.

Non ci sono piu' buoni e cattivi, una distinzione vecchia? Ma in che mondo vivete?

Un romanzo, tra l'altro, che come struttura può essere ricondotto ad una antologia di racconti collegati da un filo conduttore, il protagonista che torna innumerevoli volte a nuova vita, che ricorda la struttura più volte usata da Farmer.

Niente da dire, tutto vero. La struttura, come del resto anche in Memorie e' esattamente quella di una serie di racconti legati fra loro. Una scelta come un'altra. Verissimo che e' una struttura usata da Farmer, mio punto di riferimento ed autore culto. Se qualcuno dice che ho copiato Farmer per cortesia mi dica anche se ci sono riuscito o meno. Se si' ne saro' fiero.

Milo Manara ha cominciato a disegnare bellissimi fumetti copiando Hugo Pratt che ha cominciato copiando Milton Caniff che ha cominciato copiando i vignettisti del New York Times.

Il finale, soprattutto, non è troppo convincente. Improvvisato, sembra che l'autore cambi repentinamente marcia, velocità narrativa, imprimendo alla storia un ritmo troppo alto rispetto al resto del romanzo.

Tutto vero. Se l'ho fatto cosi' e' stato perche' non sono riuscito a far di meglio, lasciandomi aperta la porta per il seguito, che ho gia' scalettato. D'altra parte, nel caso non lo sapeste, uscire di scena e' il momento piu' difficile. Ed io quando arrivo alla fine di un romanzo non vedo l'ora di uscirne.

In definitiva un'occasione mancata su una idea che, in qualche modo, se trattata in maniera più appropriata e convincente, avrebbe potuto destare un'attenzione maggiore del lettore che, personalmente, non ritengo mai troppo sollecitata dall'autore.

Forse e' vero e forse no. La cosa piu' buffa e' che tutti quelli che mi hanno scritto mi hanno detto che il secondo e' di gran lunga migliore del primo. Cosa che personalmente non condivido.

In conclusione. Accetto critiche negative se motivate, come ha fatto Sturm. Gli riconosco il diritto di cittadinanza nella cittadella degli spiriti intellettualmente onesti (nella quale ovviamente pretendo di essere anche io, vero o falso che sia).

Degli altri non faccio nemmeno i nomi, sarebbe troppo onore. Si potrebbe parlare del perche' i critici-stroncatori-senza-perche' fanno quello che fanno, poverini. Ma potrebbero leggere e forse capire. E non sia mai detto che gli facciamo questo favore.

:-p

Giocate da secoli al lotto galattico senza fare mai terno?

Comprate sempre il biglietto della lotteria Interplanetaria senza vincere nemmeno un premio di consolazione?

Le scommesse sulle corse dei brochiofronti augustiani non vanno bene?

Allora avete bisogno del

Mago Oronzo

La soluzione a tutte le vostre sfortune

Per contatti mandare un segnale verso il 4° pianeta del sistema di Rigel

I Viaggi del Bompars
Sono lieti di presentare l'ultima moda tra i sistemi di "viaggio"

Comodamente seduti sul Vostro divano, nel Vostro salone

Il nostro tecnico vi invierà alla corteccia celebrale tutti i viaggi che vorrete e per Voi sarà come esserci stati realmente

Offerta soggetta a rischio di ustione-corticale pari al 5% L'assicurazione di viaggio copre il mantenimento del "viaggiatore" solo per i primi 30 giorni.(Comunicazione in base alla legge 69X25GC33 della Comunita Economica Galattica)

Nota editoriale

di
Carlo Benedetti

Da questo numero abbiamo deciso di inserire, per quanto possibile, nel nostro mensile i racconti, i quali verranno anche inseriti all'interno della nostra sezione dei racconti, come è sempre stato fino ad oggi, ma che con questa nuova posizione, speriamo siano in grado di raggiungere un maggior numero di lettori.

Durante il mese di dicembre e precisamente il 4 alla libreria Feltrinelli di Milano ha avuto luogo l'assegnazione del Premio Lovecraft.

Nell'elenco dei vincitori notiamo due autori che abbiamo avuto ed abbiamo il piacere di ospitare nella nostra sezione dei racconti:

4 classificato: Pił tardi un angelo verrą di Marco Ramadori
10 classificato: Suor Mary's baby Federico Gattini

Nel fargli le nostre più intergalattiche congratulazioni per il riconoscimento ottenuto cogliamo l'occasione per ricordare a tutti che il nostro spazio è sempre disponibile per chi volesse pubblicare racconti o anche per interventi sul nostro mensile.

Interiors

di
Paola Crimini

La porta si aprì su una tenera, calda luce rosata, dolcissima dopo il gelo della strada.

"Buona sera Signora … Signore. Prego": un cameriere, apparso come per silenzioso miracolo al loro fianco, tendeva con gentile fermezza la mano guantata verso i loro cappotti. "Le ho riservato il solito tavolo, Signore." "Grazie Teodoro".

La voce di Lui era autorevole, ma calda, e delicato il tocco della sua mano, mentre la guidava verso un archetto in vetri colorati e poi giù per una piccola scala di noce bruno, ricoperta di una folta guida azzurra, che cancellava il suono dei loro passi.

Dal basso le note limpide di un pianoforte salivano verso di loro, snodandosi in una morbida melodia, che sembrava chiamarla.

Scese lentamente, come seguendo l'invisibile filo musicale, finché, seduta al piccolo tavolo appartato, si lasciò andare, immergendosi in quell'atmosfera luminosa e soffice come nuvole di un altro mondo.

Udì vagamente la voce del cameriere chiedere se gradivano bere qualcosa, ma si sentiva in un'altra dimensione e fu grata al suo compagno che decise per tutti e due, ordinando dei Tom Collins.

Si guardò intorno, appezzando la delicatezza dei colori e delle luci, la silenziosa efficienza del personale e gustando la musica in sordina del grande pianoforte a coda, nell'angolo in fondo alla sala.

'È davvero un mondo nuovo' pensò.

Fino a una settimana prima la sua vita era stata quella tipica di una donna di ventotto anni, non sposata, segretaria in una grande azienda. Sveglia alle sette - rapidi preparativi - l'ufficio: tante facce, ma sempre le stesse - qualche commissione - il ritorno - la doccia - la cena - la TV. Qualche volta un cinema e qualche volta un party con i colleghi. Il tutto abbastanza scorrevole e abbastanza piacevole. Ma, tirate le somme - sì, doveva riconoscerlo - monotono e anche un po' spento.

Poi, un lunedì, nell'ufficio del capo, aveva visto Quell'Uomo.
Era stato solo un rapido scambio di sguardi, ma qualcosa le era successo dentro. Qualcosa di mai provato prima. E, quando il capo l'aveva chiamata, spiegandole che si trattava di Un Cliente Molto Importante e che, per qualche settimana, avrebbe dovuto fargli da segretaria, lo strano rimescolio interno era diventato un piccolo uragano.

Lo guardò con la coda dell'occhio, ammirandone i lineamenti fini e maschi al tempo stesso, mentre Lui scorreva quietamente il menu, rispettando il suo silenzio.

'Buffo', pensò, 'buffo ed eccitante'. Perché anche a Lui doveva essere successo qualcosa dentro. Fin dall'inizio della loro collaborazione - al di là di un affiatamento perfetto, che rendeva facile ed interessante un lavoro fino a poco prima noioso - era nato fra loro un magnetismo particolare, quasi tangibile. Un magnetismo che la faceva fremere ogni volta che lui si piegava sulla sua spalla a controllare lo scritto, che incatenava magicamente i loro occhi ogni volta che si guardavano. E anche lui fremeva: lo aveva sentito già dal primo giorno.

E, improvvisamente, il venerdì pomeriggio, l'aveva fissata a lungo, come volesse penetrarla: intenso, concentrato, ipnotico. "La vorrei a cena con me domani sera. È possibile?" La voce baritonale era stata calda e gentile, come sempre. Ma, anche se formulata come una richiesta, lei sapeva che non avrebbe potuto dire di no.

O … non avrebbe voluto?

E adesso erano lì, in quel ristorante chiaramente di lusso, dove certo non venivano persone qualunque, entrate per caso - rifletté lei, notando, con un pizzico d'invidia, la raffinatezza delle altre donne, il discreto luccichio dei gioielli e l'espressione sicura dei loro accompagnatori. 'Se non sono tutti dei VIP, poco ci manca', pensò, 'meno male che ho messo il vestito buono'.

"Vogliamo ordinare, mia cara?" Il suono della Sua voce la fece sobbalzare e, girandosi a guardarlo, colse un lampo di divertimento nei grandi occhi neri.

Per un attimo temette di aver parlato ad alta voce, ma in quello sguardo c'era anche una grande dolcezza, che la tranquillizzò immediatamente "Sì, buona idea. Grazie."

Attenta e curiosa, ascoltò le spiegazioni di Lui, che le suggeriva diversi piatti, decantando la bravura del cuoco e, pochi minuti dopo, le ordinazioni vennero scrupolosamente registrate dal solito efficientissimo cameriere, silenzioso e sorridente.

Aspettarono, chiacchierando tranquillamente di mille e mille cose, con uno strano miscuglio fra la curiosità di chi vuole conoscersi meglio e la confidenza di chi si conosce da tempo.

Lei era ormai perfettamente rilassata e felice. Tutto era splendido, luminoso, incantato. Galleggiava in un sogno: bella la sala, bella la gente, bella la musica, bello Lui-bella Lei … belli perfino i camerieri. Ridacchiò piano. Oddio, era forse già ubriaca? Si scosse leggermente, cercando di non darlo a vedere e si guardò intorno con fare indifferente.

Era proprio vero?

E per un attimo - ma fu solo un attimo - un orribile nodo d'angoscia le serrò la gola. I volti erano duri; gli occhi come cristalli maligni; i movimenti rigidi, da marionette; aspre e taglienti le luci, le voci, la musica … no no no!

Si volse a Lui, senza fiato, senza parole … e l'incanto era tornato!

'Che sciocca, che sciocca! Dio che figura stavo per fare!' pensò fugacemente, mentre si abbandonava di nuovo al fluire delle parole, delle note, delle emozioni.

E continuarono a parlottare contenti, anche quando arrivarono i primi piatti, scoprendo interessi comuni, gusti comuni, desideri comuni. E furono momenti di sorpresa e piccole esclamazioni; e momenti di allegria e squillanti scoppi di risa e … momenti di silenzio e lunghi sguardi brucianti.

Solo, di tanto in tanto, quando staccava lo sguardo dal volto abbronzato di Lui, riemergeva il ricordo dell'incubo di poco prima. Ma bastava una parola di quella voce carezzevole, o che le Sue dita la sfiorassero e tutto era cancellato, come per magia.

"Guarda", esclamò improvvisamente, "non è buffo? Voglio dire: suona una musica così dolce, così melodiosa e di lui si vede soltanto la testa pelata. Poverino, dev'essere brutto, vecchio e magari anche grasso!"

Scoppiò a ridere, divertita di quella fantasia, mentre Lui la guardava con indulgente dolcezza. Poi, di colpo, le venne un'idea: "Voglio chiedergli di suonare una canzone speciale, tutta per noi, la più bella che conosce. Sarà il simbolo di questa serata."

"No! Ferma!", Lui aveva quasi gridato, ma lei era già in piedi e non fece in tempo a bloccarla.

Corse leggera verso quell'angolo in penombra - verso il grande pianoforte nero - verso quella testa tonda e calva, che rifletteva comicamente barbagli di luce, accompagnando le note.
Si piegò, ilare e felice come una bimba. "Senta, scusi sign……"
Nnnnoonn … non era pppossibile … non potevano aver fatto questo! Era orribile!

Sconvolta, gli occhi pieni di lagrime, non si accorgeva neanche di balbettare fra sé quelle parole sconnesse, mentre fissava l'incredibile arnese metallico che, poggiato sul sediolino del pianista, seguiva il ritmo della musica agitando grottescamente la falsa testa pelata: una musica finta di un pianoforte finto con i tasti finti suonata da un pianista finto …

Tremando di rabbia e di delusione, si volse di scatto e quasi volò verso il tavolo, a cercare sicurezza e conforto, a tentare di ricreare l'incanto che le si frantumava attorno.

Lo afferrò per un braccio, scuotendolo con forza, parlando convulsa, quasi isterica. "Lo sai, di', lo sai cosa c'è là dietro? Lo sai? È un uomo finto … Non … non esiste davvero! Lui … lui è solo un groviglio di fili e sopra ha una testa … no … oddio che schifo … una calotta di plastica rosa! Io … io …"

Ma perché la guardava così? Perché non diceva nulla? Lo scrollò ancora, tirando per farlo alzare, per mostrargli quella … quella Cosa. Doveva convincerlo!

Tirò con più forza, stringendogli il polso, la carne del braccio, cercando il Suo calore e la Sua forza.

Ma era una cosa fredda, quella che stava toccando: una cosa assurdamente elastica, una cosa che sembrava poter subire qualsiasi pressione, adattarsi a qualsiasi forma, per poi tornare inesorabilmente a quella originaria.

Lo fissò inorridita, sbiancando nell'incontrare gli occhi di Lui: due cristalli neri immobili. L'unica traccia di vita - ma era Vita?! - un tenue luccichio, non più tenero ora, ma minaccioso. Improvvisamente ebbe paura. Una paura viscida che le gelò i muscoli.

Si guardò intorno: da tutti i tavoli la fissavano occhi di gelido cristallo nero. La luce rosata dei piccoli abatjours non era più morbida, ma serviva solo a far risaltare ancora di più il maligno brillio di quelle pupille sinistre.

Indietreggiò, ansimando rauca, le mani tese dietro di sé a tastare l'aria.

"No! Dio no … aiuto!"

Mormorava-gridava-singhiozzava? O, forse, neppure un suono le usciva dalla gola contratta, mentre continuava ad indietreggiare a scatti, stravolta, pensando solo a fuggire da quel covo di mostri, prima che potessero distruggerla.

Confusa e convulsa, non sentì il cameriere dietro di sé. All'urto si volse di colpo, urlando di terrore e urlò ancora più forte cogliendo anche nei suoi occhi lo stesso lampo di odio beffardo. Ma, adesso, poteva vedere anche la porta!

Fuggì … volò su per le scale, inseguita dall'orribile suono del falso pianoforte. Quasi travolse la guardarobiera che le veniva incontro - per bloccarla forse? - e, finalmente, fu instrada, libera nella notte!

Per un attimo si appoggiò al muro, ansimando di fatica e di sollievo. Ma non poteva fermarsi: doveva continuare a fuggire, a correre per trovare aiuto.

Perché, prima o poi, gli Uomini di Plastica avrebbero terminato la loro falsa cena, il loro falso vino e lasciato il falso ristorante, sarebbero andati per le strade, tutti insieme e … oddio … Cosa avrebbero fatto alle Persone Vere?

Corse via lungo la strada fiocamente illuminata, tremando di freddo e di paura; gli occhi appannati di lacrime non vedevano altro che le spaventose immagini rimaste impresse nella memoria: così non notò l'uomo che usciva da un portone e gli piombò violentemente addosso. "Ehi! Ma è impazzita? Stia un po' attenta, accidenti!"

"Aaahhh … via via via!" Lo respinse con forza, quasi strappandosi da lui e riprese a correre, precipitandosi verso una piazzetta illuminata, dove si intravedeva un parcheggio, dimentica adesso del freddo, della paura, dell'ora tarda. L'unico pensiero era quello di dare l'allarme.

Ecco, ecco, c'era gente laggiù fra le macchine. Si sforzò di accelerare al corsa. Era una giovane coppia che parlottava allegramente, con piccoli gesti affettuosi … Persone! 'Dio ti ringrazio!', pensò, mentre tendeva una mano tremante verso di loro.

"Vi prego", balbettò, oramai senza fiato; "vi prego ascoltatemi! Io … oddio non ce la faccio … aiutatemi!"

"Signorina, signorina, stia calma, coraggio. Cosa c'è? Che le è successo?"

La voce cortese del ragazzo le ridiede forza e un torrente di parole le uscì dalle labbra, misto a sospiri e singhiozzi. Parole sconnesse, smozzicate, che riuscirono, tuttavia, a descrivere la scena del ristorante e, quando ebbe finito, nuovamente tese una mano: "Aiuto: dobbiamo trovare aiuto, avvertire tutti …"

Ma i volti dei due rimanevano impassibili. Solamente lo sguardo scintillava di luce sinistra, mentre scambiavano una rapida occhiata fra loro.

"Sembra tutto un po' inverosimile, veramente … Comunque, ora andremo a vedere. Ma lei dovrà venire con noi: deve mostrarci il posto, forza."

Come incuriosito dalla situazione, stava avvicinandosi anche il posteggiatore. Fu solo un attimo di speranza, perché identici agli altri erano i torbidi cristalli neri che fissò su di lei: "E allora? Che succede qui?"

Istintivamente giocò d'astuzia. "Io ecco … ho già spiegato … Insomma, venite con me o no?" ', con aria decisa, si volse come per tornare verso il ristorante, poi, fulminea, scattò via, in una corsa folle, sparendo come il lampo in un vicolo laterale.

E di nuovo fuggiva, disperata. Non poteva chiedere aiuto lì. Quello doveva essere il Loro quartiere. Doveva andare verso il centro, piuttosto, oppure trovare la polizia.

Correva ciecamente ora, sempre più stanca e scoraggiata per la strada ormai deserta, i portoni chiusi, le finestre buie.

Ma dov'era? Dov'era finita in quella fuga senza guida e senza confini?

Si guardò intorno, senza riconoscere nulla. Scoppiò a piangere e … in quel momento sull'asfalto umido sventagliò il riflesso di due fari. Signore! Forse era salva! Improvvisamente rinvigorita, balzò in avanti, gridando, le braccia levate nell'aria.

Una piccola ombra scura, spaventata dalla sua mossa brusca, le guizzò velocissima fra i piedi; facendola inciampare.

Sentì stridere i freni e un miagolio rauco …

Sulla strada nuovamente silenziosa e deserta solo un corpicino peloso, senza più fremiti.

Singhiozzando, barcollando, gli andò vicino. Quasi a chiedergli perdono, lo sfiorò piano, poi lo sollevò con infinita delicatezza.

Ma non usciva sangue da quel pupazzo freddo e molliccio e, dalla zampetta spezzata, spuntava solo uno strano groviglio di fili metallici.

Era troppo. Non ebbe neanche la forza di gridare, o di gettarlo via. Stranamente calma, lo depose in un angolo, così delicatamente come lo aveva raccolto. Poi si incamminò, lenta ma decisa, verso un piccolo parco lì vicino. Seguì i vialetti fiancheggiati dai neri profili dei cespugli, finché giunse ad un grande prato, in mezzo al quale una quercia robusta si stagliava contro la luna, riemersa fra le nubi.

'Una luna di plastica?' pensò amaramente.

Guardando il pallido astro notturno, con grande lentezza alzo la mano verso l'arbusto al suo fianco e afferrò un ramoscello. Esitò un secondo … doveva farlo!

Non udì lo schiocco netto del legno vivo che si rompe, né l'umidore della linfa sulle dita che sbriciolavano le foglie: plastica!

Sentì un'immensa cappa di piombo scenderle addosso, legarle le membra pesanti e oscurarle la vista, tagliando via anche il respiro.

No! C'era un ultimo atto da compiere: un ultimo grido di protesta da lanciare contro quel mondo che non era vero, che non poteva - non voleva - riconoscere come suo.

Lentamente percorse il prato, scrutando con attenzione ogni angolo, finché, proprio vicino ad un certo di rifiuti, trovò quello che cercava.

Sempre lentamente, tornò indietro verso il grande albero. Gli si fermò di fronte - un breve strano sorriso sulle labbra tirate - e, di colpo, saettò con violenza nell'aria la mano che impugnava una bottiglietta vuota di birra, fracassandola contro il tronco massiccio.

Poi se sedette, sotto le vaste braccia fronzute, con mosse caute, come sospese fuori del tempo, fissando con occhi vuoti attorno a sé.

Ma non c'era nessuno e non c'era nulla che valesse la pena di salutare.

Non volle più attendere. Serrò i denti a bloccare l'ultimo singhiozzo, mentre le lucide schegge di vetro squarciavano brutalmente il suo polso delicato.

Ma dalla strana polpa rosea e spugnosa, intessuta di fili metallici, inutilmente lacerata, non uscì - naturalmente - neppure una stilla di sangue.

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