La porta si aprì su una tenera, calda luce rosata, dolcissima
dopo il gelo della strada.
"Buona sera Signora
Signore. Prego": un cameriere,
apparso come per silenzioso miracolo al loro fianco, tendeva con gentile
fermezza la mano guantata verso i loro cappotti. "Le ho riservato
il solito tavolo, Signore." "Grazie Teodoro".
La voce di Lui era autorevole, ma calda, e delicato il tocco della
sua mano, mentre la guidava verso un archetto in vetri colorati e poi
giù per una piccola scala di noce bruno, ricoperta di una folta
guida azzurra, che cancellava il suono dei loro passi.
Dal basso le note limpide di un pianoforte salivano verso di loro,
snodandosi in una morbida melodia, che sembrava chiamarla.
Scese lentamente, come seguendo l'invisibile filo musicale, finché,
seduta al piccolo tavolo appartato, si lasciò andare, immergendosi
in quell'atmosfera luminosa e soffice come nuvole di un altro mondo.
Udì vagamente la voce del cameriere chiedere se gradivano bere
qualcosa, ma si sentiva in un'altra dimensione e fu grata al suo compagno
che decise per tutti e due, ordinando dei Tom Collins.
Si guardò intorno, appezzando la delicatezza dei colori e delle
luci, la silenziosa efficienza del personale e gustando la musica in
sordina del grande pianoforte a coda, nell'angolo in fondo alla sala.
'È davvero un mondo nuovo' pensò.
Fino a una settimana prima la sua vita era stata quella tipica di una
donna di ventotto anni, non sposata, segretaria in una grande azienda.
Sveglia alle sette - rapidi preparativi - l'ufficio: tante facce, ma
sempre le stesse - qualche commissione - il ritorno - la doccia - la
cena - la TV. Qualche volta un cinema e qualche volta un party con i
colleghi. Il tutto abbastanza scorrevole e abbastanza piacevole. Ma,
tirate le somme - sì, doveva riconoscerlo - monotono e anche
un po' spento.
Poi, un lunedì, nell'ufficio del capo, aveva visto Quell'Uomo.
Era stato solo un rapido scambio di sguardi, ma qualcosa le era successo
dentro. Qualcosa di mai provato prima. E, quando il capo l'aveva chiamata,
spiegandole che si trattava di Un Cliente Molto Importante e che, per
qualche settimana, avrebbe dovuto fargli da segretaria, lo strano rimescolio
interno era diventato un piccolo uragano.
Lo guardò con la coda dell'occhio, ammirandone i lineamenti
fini e maschi al tempo stesso, mentre Lui scorreva quietamente il menu,
rispettando il suo silenzio.
'Buffo', pensò, 'buffo ed eccitante'. Perché anche a
Lui doveva essere successo qualcosa dentro. Fin dall'inizio della loro
collaborazione - al di là di un affiatamento perfetto, che rendeva
facile ed interessante un lavoro fino a poco prima noioso - era nato
fra loro un magnetismo particolare, quasi tangibile. Un magnetismo che
la faceva fremere ogni volta che lui si piegava sulla sua spalla a controllare
lo scritto, che incatenava magicamente i loro occhi ogni volta che si
guardavano. E anche lui fremeva: lo aveva sentito già dal primo
giorno.
E, improvvisamente, il venerdì pomeriggio, l'aveva fissata a
lungo, come volesse penetrarla: intenso, concentrato, ipnotico. "La
vorrei a cena con me domani sera. È possibile?" La voce
baritonale era stata calda e gentile, come sempre. Ma, anche se formulata
come una richiesta, lei sapeva che non avrebbe potuto dire di no.
O
non avrebbe voluto?
E adesso erano lì, in quel ristorante chiaramente di lusso,
dove certo non venivano persone qualunque, entrate per caso - rifletté
lei, notando, con un pizzico d'invidia, la raffinatezza delle altre
donne, il discreto luccichio dei gioielli e l'espressione sicura dei
loro accompagnatori. 'Se non sono tutti dei VIP, poco ci manca', pensò,
'meno male che ho messo il vestito buono'.
"Vogliamo ordinare, mia cara?" Il suono della Sua voce la
fece sobbalzare e, girandosi a guardarlo, colse un lampo di divertimento
nei grandi occhi neri.
Per un attimo temette di aver parlato ad alta voce, ma in quello sguardo
c'era anche una grande dolcezza, che la tranquillizzò immediatamente
"Sì, buona idea. Grazie."
Attenta e curiosa, ascoltò le spiegazioni di Lui, che le suggeriva
diversi piatti, decantando la bravura del cuoco e, pochi minuti dopo,
le ordinazioni vennero scrupolosamente registrate dal solito efficientissimo
cameriere, silenzioso e sorridente.
Aspettarono, chiacchierando tranquillamente di mille e mille cose,
con uno strano miscuglio fra la curiosità di chi vuole conoscersi
meglio e la confidenza di chi si conosce da tempo.
Lei era ormai perfettamente rilassata e felice. Tutto era splendido,
luminoso, incantato. Galleggiava in un sogno: bella la sala, bella la
gente, bella la musica, bello Lui-bella Lei
belli perfino i camerieri.
Ridacchiò piano. Oddio, era forse già ubriaca? Si scosse
leggermente, cercando di non darlo a vedere e si guardò intorno
con fare indifferente.
Era proprio vero?
E per un attimo - ma fu solo un attimo - un orribile nodo d'angoscia
le serrò la gola. I volti erano duri; gli occhi come cristalli
maligni; i movimenti rigidi, da marionette; aspre e taglienti le luci,
le voci, la musica
no no no!
Si volse a Lui, senza fiato, senza parole
e l'incanto era tornato!
'Che sciocca, che sciocca! Dio che figura stavo per fare!' pensò
fugacemente, mentre si abbandonava di nuovo al fluire delle parole,
delle note, delle emozioni.
E continuarono a parlottare contenti, anche quando arrivarono i primi
piatti, scoprendo interessi comuni, gusti comuni, desideri comuni. E
furono momenti di sorpresa e piccole esclamazioni; e momenti di allegria
e squillanti scoppi di risa e
momenti di silenzio e lunghi sguardi
brucianti.
Solo, di tanto in tanto, quando staccava lo sguardo dal volto abbronzato
di Lui, riemergeva il ricordo dell'incubo di poco prima. Ma bastava
una parola di quella voce carezzevole, o che le Sue dita la sfiorassero
e tutto era cancellato, come per magia.
"Guarda", esclamò improvvisamente, "non è
buffo? Voglio dire: suona una musica così dolce, così
melodiosa e di lui si vede soltanto la testa pelata. Poverino, dev'essere
brutto, vecchio e magari anche grasso!"
Scoppiò a ridere, divertita di quella fantasia, mentre Lui
la guardava con indulgente dolcezza. Poi, di colpo, le venne un'idea:
"Voglio chiedergli di suonare una canzone speciale, tutta per noi,
la più bella che conosce. Sarà il simbolo di questa serata."
"No! Ferma!", Lui aveva quasi gridato, ma lei era già
in piedi e non fece in tempo a bloccarla.
Corse leggera verso quell'angolo in penombra - verso il grande pianoforte
nero - verso quella testa tonda e calva, che rifletteva comicamente
barbagli di luce, accompagnando le note.
Si piegò, ilare e felice come una bimba. "Senta, scusi sign
"
Nnnnoonn
non era pppossibile
non potevano aver fatto questo!
Era orribile!
Sconvolta, gli occhi pieni di lagrime, non si accorgeva neanche di
balbettare fra sé quelle parole sconnesse, mentre fissava l'incredibile
arnese metallico che, poggiato sul sediolino del pianista, seguiva il
ritmo della musica agitando grottescamente la falsa testa pelata: una
musica finta di un pianoforte finto con i tasti finti suonata da un
pianista finto
Tremando di rabbia e di delusione, si volse di scatto e quasi volò
verso il tavolo, a cercare sicurezza e conforto, a tentare di ricreare
l'incanto che le si frantumava attorno.
Lo afferrò per un braccio, scuotendolo con forza, parlando
convulsa, quasi isterica. "Lo sai, di', lo sai cosa c'è
là dietro? Lo sai? È un uomo finto
Non
non
esiste davvero! Lui
lui è solo un groviglio di fili e
sopra ha una testa
no
oddio che schifo
una calotta
di plastica rosa! Io
io
"
Ma perché la guardava così? Perché non diceva
nulla? Lo scrollò ancora, tirando per farlo alzare, per mostrargli
quella
quella Cosa. Doveva convincerlo!
Tirò con più forza, stringendogli il polso, la carne
del braccio, cercando il Suo calore e la Sua forza.
Ma era una cosa fredda, quella che stava toccando: una cosa assurdamente
elastica, una cosa che sembrava poter subire qualsiasi pressione, adattarsi
a qualsiasi forma, per poi tornare inesorabilmente a quella originaria.
Lo fissò inorridita, sbiancando nell'incontrare gli occhi di
Lui: due cristalli neri immobili. L'unica traccia di vita - ma era Vita?!
- un tenue luccichio, non più tenero ora, ma minaccioso. Improvvisamente
ebbe paura. Una paura viscida che le gelò i muscoli.
Si guardò intorno: da tutti i tavoli la fissavano occhi di gelido
cristallo nero. La luce rosata dei piccoli abatjours non era più
morbida, ma serviva solo a far risaltare ancora di più il maligno
brillio di quelle pupille sinistre.
Indietreggiò, ansimando rauca, le mani tese dietro di sé
a tastare l'aria.
"No! Dio no
aiuto!"
Mormorava-gridava-singhiozzava? O, forse, neppure un suono le usciva
dalla gola contratta, mentre continuava ad indietreggiare a scatti,
stravolta, pensando solo a fuggire da quel covo di mostri, prima che
potessero distruggerla.
Confusa e convulsa, non sentì il cameriere dietro di sé.
All'urto si volse di colpo, urlando di terrore e urlò ancora
più forte cogliendo anche nei suoi occhi lo stesso lampo di odio
beffardo. Ma, adesso, poteva vedere anche la porta!
Fuggì
volò su per le scale, inseguita dall'orribile
suono del falso pianoforte. Quasi travolse la guardarobiera che le veniva
incontro - per bloccarla forse? - e, finalmente, fu instrada, libera
nella notte!
Per un attimo si appoggiò al muro, ansimando di fatica e di
sollievo. Ma non poteva fermarsi: doveva continuare a fuggire, a correre
per trovare aiuto.
Perché, prima o poi, gli Uomini di Plastica avrebbero terminato
la loro falsa cena, il loro falso vino e lasciato il falso ristorante,
sarebbero andati per le strade, tutti insieme e
oddio
Cosa avrebbero fatto alle Persone Vere?
Corse via lungo la strada fiocamente illuminata, tremando di freddo
e di paura; gli occhi appannati di lacrime non vedevano altro che le
spaventose immagini rimaste impresse nella memoria: così non
notò l'uomo che usciva da un portone e gli piombò violentemente
addosso. "Ehi! Ma è impazzita? Stia un po' attenta, accidenti!"
"Aaahhh
via via via!" Lo respinse con forza, quasi
strappandosi da lui e riprese a correre, precipitandosi verso una piazzetta
illuminata, dove si intravedeva un parcheggio, dimentica adesso del
freddo, della paura, dell'ora tarda. L'unico pensiero era quello di
dare l'allarme.
Ecco, ecco, c'era gente laggiù fra le macchine. Si sforzò
di accelerare al corsa. Era una giovane coppia che parlottava allegramente,
con piccoli gesti affettuosi
Persone! 'Dio ti ringrazio!', pensò,
mentre tendeva una mano tremante verso di loro.
"Vi prego", balbettò, oramai senza fiato; "vi
prego ascoltatemi! Io
oddio non ce la faccio
aiutatemi!"
"Signorina, signorina, stia calma, coraggio. Cosa c'è?
Che le è successo?"
La voce cortese del ragazzo le ridiede forza e un torrente di parole
le uscì dalle labbra, misto a sospiri e singhiozzi. Parole sconnesse,
smozzicate, che riuscirono, tuttavia, a descrivere la scena del ristorante
e, quando ebbe finito, nuovamente tese una mano: "Aiuto: dobbiamo
trovare aiuto, avvertire tutti
"
Ma i volti dei due rimanevano impassibili. Solamente lo sguardo scintillava
di luce sinistra, mentre scambiavano una rapida occhiata fra loro.
"Sembra tutto un po' inverosimile, veramente
Comunque,
ora andremo a vedere. Ma lei dovrà venire con noi: deve mostrarci
il posto, forza."
Come incuriosito dalla situazione, stava avvicinandosi anche il posteggiatore.
Fu solo un attimo di speranza, perché identici agli altri erano
i torbidi cristalli neri che fissò su di lei: "E allora?
Che succede qui?"
Istintivamente giocò d'astuzia. "Io ecco
ho già
spiegato
Insomma, venite con me o no?" ', con aria decisa,
si volse come per tornare verso il ristorante, poi, fulminea, scattò
via, in una corsa folle, sparendo come il lampo in un vicolo laterale.
E di nuovo fuggiva, disperata. Non poteva chiedere aiuto lì.
Quello doveva essere il Loro quartiere. Doveva andare verso il centro,
piuttosto, oppure trovare la polizia.
Correva ciecamente ora, sempre più stanca e scoraggiata per
la strada ormai deserta, i portoni chiusi, le finestre buie.
Ma dov'era? Dov'era finita in quella fuga senza guida e senza confini?
Si guardò intorno, senza riconoscere nulla. Scoppiò a
piangere e
in quel momento sull'asfalto umido sventagliò
il riflesso di due fari. Signore! Forse era salva! Improvvisamente rinvigorita,
balzò in avanti, gridando, le braccia levate nell'aria.
Una piccola ombra scura, spaventata dalla sua mossa brusca, le guizzò
velocissima fra i piedi; facendola inciampare.
Sentì stridere i freni e un miagolio rauco
Sulla strada nuovamente silenziosa e deserta solo un corpicino peloso,
senza più fremiti.
Singhiozzando, barcollando, gli andò vicino. Quasi a chiedergli
perdono, lo sfiorò piano, poi lo sollevò con infinita
delicatezza.
Ma non usciva sangue da quel pupazzo freddo e molliccio e, dalla zampetta
spezzata, spuntava solo uno strano groviglio di fili metallici.
Era troppo. Non ebbe neanche la forza di gridare, o di gettarlo via.
Stranamente calma, lo depose in un angolo, così delicatamente
come lo aveva raccolto. Poi si incamminò, lenta ma decisa, verso
un piccolo parco lì vicino. Seguì i vialetti fiancheggiati
dai neri profili dei cespugli, finché giunse ad un grande prato,
in mezzo al quale una quercia robusta si stagliava contro la luna, riemersa
fra le nubi.
'Una luna di plastica?' pensò amaramente.
Guardando il pallido astro notturno, con grande lentezza alzo la mano
verso l'arbusto al suo fianco e afferrò un ramoscello. Esitò
un secondo
doveva farlo!
Non udì lo schiocco netto del legno vivo che si rompe, né
l'umidore della linfa sulle dita che sbriciolavano le foglie: plastica!
Sentì un'immensa cappa di piombo scenderle addosso, legarle
le membra pesanti e oscurarle la vista, tagliando via anche il respiro.
No! C'era un ultimo atto da compiere: un ultimo grido di protesta
da lanciare contro quel mondo che non era vero, che non poteva - non
voleva - riconoscere come suo.
Lentamente percorse il prato, scrutando con attenzione ogni angolo,
finché, proprio vicino ad un certo di rifiuti, trovò quello
che cercava.
Sempre lentamente, tornò indietro verso il grande albero. Gli
si fermò di fronte - un breve strano sorriso sulle labbra tirate
- e, di colpo, saettò con violenza nell'aria la mano che impugnava
una bottiglietta vuota di birra, fracassandola contro il tronco massiccio.
Poi se sedette, sotto le vaste braccia fronzute, con mosse caute, come
sospese fuori del tempo, fissando con occhi vuoti attorno a sé.
Ma non c'era nessuno e non c'era nulla che valesse la pena di salutare.
Non volle più attendere. Serrò i denti a bloccare l'ultimo
singhiozzo, mentre le lucide schegge di vetro squarciavano brutalmente
il suo polso delicato.
Ma dalla strana polpa rosea e spugnosa, intessuta di fili metallici,
inutilmente lacerata, non uscì - naturalmente - neppure una stilla
di sangue.
.