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Elen sÍla lúmenn' omentielvo, evañ choucen
Scienza, fantastico e tecnologia ne 'Il Signore degli Anelli'

Di Teofilo Nengappi

Non senza un certo imbarazzo mi trovo a parlare di J.R.R. Tolkien, o meglio della sua opera 'Il Signore degli anelli'. L'imbarazzo è dovuto, lo confesso, alla mia difficoltà con la lingua inglese –mi è certo più familiare il francese, anche per motivi anagrafici.

Abituato a studiare misteri del tempo direttamente sulle fonti, quindi, mi trovo a confessare che dell'immaginifico professore ho letto quasi esclusivamente su traduzioni italiane, perdendo quindi il necessario contatto con il mondo interiore dell'autore. Visto poi che egli fu un vero (sub)creatore di mondi, il mio cruccio è doppio.

E' necessario spiegare la presenza del curioso prefisso sulla parola 'creatore'. Sull'argomento, infatti, la visione di Tolkien era esplicita, e molto religiosa. Il vero Creatore è solo Dio, che opera nel mondo primario. Le fiabe devono essere autoconsistenti, senza contatti con quel mondo né nella storia, né nella geografia, né nelle lingue. Si viene a creare un mondo secondario del quale l'autore è non creatore, ma subcreatore.

Delle tante definizioni date al Professore, quella che più mi piace è senza alcun dubbio quella di Omero del XX secolo, che devo all'acutezza di Paolo Gulisano. Chi meglio di J.R.R., nato in Sudafrica da famiglia inglese e tornato nella sua isola nientemeno che all'età di tre anni, può infatti aver meglio assorbito il senso del viaggio implicito nei viaggi di Ulisse?

Per trarmi d'impiccio senza ulteriormente evidenziare le mie lacune lascerò la parola, anzi lo schermo, a persone che più di me rappresentano il sapere sull'argomento. Ho infatti partecipato come ascoltatore alla conferenza di apertura dell'Hobbiton, svoltasi nel magnifico Palazzo Valentini di Roma a cura della Società Tolkeniana. Lì ho avuto modo di essere partecipe delle riflessioni dei vari oratori, tra i quali Gianfranco De Turris, che di tanto in tanto gratifica questa 'webzine' (si dice così, vero redattore?), e il professor Adolfo Morganti, noto esperto e anch'egli a suo tempo ospitato dal nostro e vostro sito per una polemica contro Valerio Evangelisti.

La parte che più mi ha colpito, devo confessarla, è però stata recitata da Stefano Giuliano, Cultore della materia presso la cattedra di Storia delle Religioni dell'Istituto Universitario "Orientale" di Napoli. Dopo 'Le radici non gelano - Il conflitto fra Tradizione e Modernità in Tolkien' (Salerno 2001), Giuliano ha partecipato alla stesura del libro 'La compagnia, l'anello, il potere', insieme ai succitati e con altri esperti (si può acquistare su www.ilcerchio.it/ilcerchio/la_compagnia.htm, ndr). Come dicono le note di copertina, si tratta di 'Un volume collettaneo che analizza l'opera di Tolkien sotto l'aspetto simbolico, filologico, letterario e come fenomeno sociale e politico'.

Proprio di Giuliano ho appuntato alcune parole, che vado mora a riferirvi. Due gli argomenti fondamentali: l'anello come artefatto, e quindi condensato di tecnologia; l'approccio scientifico come utopia. E' possibile, devo confessarlo, che nell'operare un'estrema sintesi del pensiero del relatore io abbia compiuto degli errori di approssimazione, dei quali chiedo scusa al lettore.

L'anello come metafora della tecnologia

'L'Anello può essere inteso come metafora di un certo tipo di potere, e la vicenda della sua distruzione è un possibile tropo della rinuncia ad esso', dice Giuliano. '…non è semplicemente un anello magico(…). Esso offre tutta una serie di facoltà: invisibilità, longevità, conoscenza, dominio su cose ed esseri viventi, e così via. Inoltre, permette di aumentare le capacità fisiche ed intellettuali di chi lo utilizza'. Ecco perché 'l'Anello potrebbe essere interpretato come una rappresentazione della tecnica moderna, dei suoi poteri, del suo disegno di controllare tutta la realtà. Ma l'uso dell'Anello comporta anche una degradazione fisica e morale. Colui che l'adopera, all'inizio, crede di esserne il padrone ma, in seguito, è assolutamente incapace di staccarsene, divenendone succube.'

Mirabile metafora della tecnologia! Sembra di rivedere i giovinetti che hanno in mano il loro telefono cellulare, gli adulti con la chiave dell'automobile nuova, ma anche i potenti con il telecomando della distruzione. Ma attenzione, perché la metafora ha una sua conclusione: 'Colui che ha l'Anello acquisisce qualità che non sono frutto di una maturazione interiore ma di una tecnologia applicata, sicché perduto l'oggetto magico se ne perdono anche i poteri.'

La scienza come utopia

Mordor stessa può essere vista come metafora di qualcosa di moderno. Saruman inventa nellla vallata di Isengard, che 'un tempo verde e lussureggiante, riproduce lo scenario mordoriano: macchinari giganteschi e rumorosi, sfruttamento delle risorse, inquinamento atmosferico, e così via. Saruman è mosso dall'irresistibile desiderio di conoscere. Ma il suo è un sapere indirizzato al dominio e al profitto'. 'Egli può essere interpretato come un'espressione figurata del potere scientifico e tecnologico teso allo studio e alla sperimentazione. L'unico fine di questo tipo di conoscenza è soggiogare la natura nell'illusione di migliorarla.'

Siamo in un periodo storicamente intricato. Di nuovo. Lo sfruttamento delle risorse avviene in maniera incontrollata. Tolkien non vedeva i suoi mondi come metafora del reale, ma non poteva impedire che qualcuno, nel tempo lo pensasse.