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SCIENCE FICTION "SUI GENERIS"

Renato Pestriniero

Fantascienza italiana: Pestriniero dice la sua, Ditelo con la science fiction, Considerazioni sopra una naturale dissociazione nell'ambito della science-fiction italiana e Science-fiction sui generis sono tre saggi scritti da Renato Pestriniero negli anni passati. Insieme ne esce fuori un inedito quadro pennellato sull'argomento della fantascienza italiana che tanto appassiona noi di Nigralatebra.
Noi pubblicheremo integralmente sul Fantafolio la serie di saggi, per poi farne un'altra area fissa di Nigralatebra (LS).
Nel numero 23: Ditelo con la Science Fiction
Nel numero 24: Science fiction sui generis (parte I di III)

SCIENCE FICTION "SUI GENERIS"
Parte II di III

Nella prima parte Pestriniero spiegava che leggendo Ridotti in genere, un articolo apparso su Panorama del 16 giugno 1991 (il saggio data luglio 1991-aprile 1992), gli era tornato alla mente che non c'era stato seguito agli argomenti trattati con lui in un'intervista su Urania 1144 del 13 gennaio 1991. Improvvisamente aveva messo insieme le tessere d'un mosaico mentale che andava via via componendosi per rappresentare una immagine negativa della fantascienza italiana, che invece era ricchissima nonostante non ricevesse l'imprimatur.

PASSIVITA' INTELLETTUALE

E' opportuno chiedersi quanti autori validi in potenza lasciano perdere perché non viene loro suggerito come migliorare le loro opere, mentre lo spazio disponibile viene coperto da opere d'importazione per troppe delle quali non si trovano né agganci che giustifichino lodi sperticate né parametri di valutazione su cui i nostri autori vengono sollecitati a misurarsi. Ma, rimanendo nel prodotto d'importazione, lasciamo per un momento il ciarpame e prendiamo le opere valide. In un mondo in cui gli avvenimenti diventano obsoleti nel giro di mesi se non di giorni (una guerra 'fantascientifica' è durata meno di sei settimane con una fase finale di cento ore) cosa può offrire un autore nostrano sul mercato nazionale? Ho l'impressione che gli rimangano due possibilità: seguire consciamente o inconsciamente il mainstream della science fiction statunitense, ma allora diventa una brutta copia; oppure seguire strade e visioni indigene, ma allora mancherà di originalità e inventiva poiché il prodotto non rientrerà nelle caratteristiche che corrispondono al trend. Prendiamo l'ultimo di questi trend in ordine di tempo: a William Gibson, scrittore immerso in una società esasperatamente tecnologica, un giorno viene di soffermarsi su un walkman Sony, si fa spiegare un po' di tecnica dei computer perché non ne sa nulla, e scrive un romanzo che dà il via alla corrente cyberpunk. E' chiaro che chiunque in Italia avesse l'idea di scrivere qualcosa rientrante in questa corrente, le cui radici sono nella realtà USA, sarebbe handicappato in partenza.

All'opera di Gibson io faccio tanto di cappello, ma lui stesso dice che non riesce a rendersi conto di tanto scalpore e che comunque per lui questa tematica è ormai superata, me l'ha confermato personalmente in occasione del congresso sulle virtual realities tenuto a Venezia. Adesso il cyberpunk sbiadirà un po' alla volta e qualche altro trend prenderà il suo posto. E allora, come successo per i casi precedenti, qui da noi molti ne diranno peste e corna e osanneranno il nuovo movimento, perseverando nella passività intellettuale. Che, in qualche modo, bisogna assolutamente spezzare, altrimenti in questa importazione continua di vie proposte e imposte, quale spazio può avere il movimento italiano per poter esprimere qualcosa di suo, o almeno visto con occhi suoi, grintoso fin che si vuole ma 'al di fuori' dei sentieri già tracciati? Qualcosa che esprima il nostro diverso punto di vista su questo ed eventualmente altri mondi, intendo il nostro sentire, italiano ed europeo, il nostro modo di affrontare, combattere, accettare e subire il mondo in cui viviamo, sempre più difficile e sempre più affascinante; perché, come esso viene visto dagli amici di oltre oceano nelle loro varie correnti, ormai lo sappiamo a memoria. E' ora di staccarsi da passività editoriali e di autore, e di esprimere opinioni formulate attraverso una interpretazione diversa dei fatti svincolandosi, almeno in questo, dall'ossessivo colonialismo culturale.

Proprio a seguito delle diverse opinioni apparse su Urania 1142, dove un lettore proponeva un elenco di scienze che, secondo lui, sarebbero gli ingredienti per formare la "cosa' chiamata fantascienza, una lettrice si chiedeva perché mai in quell'elenco non fossero incluse l'economia, la sociologia, la psicologia... E si chiedeva anche per chi dovremmo scrivere il tipo di science fiction che io proponevo. Se la scienza viene considerata separata, per esempio, da economia e politica - continuava a chiedersi la lettrice rivolgendosi a me - cosa dobbiamo scrivere di sociologico e impegnato che ci venga riconosciuto come vera science fiction doc? Il punto è che mettere sociologia e politica in un racconto di fantascienza (sono sempre sue parole) è avere una visione politica anche del futuro e dell'alieno (...) Avere questa visione con tanta chiarezza da poter la trasportare in un racconto senza farne un libello, inserirla nell'ambientazione eccetera, è molto difficile, tant'è che di fantascienza così ne conosco ben poca o niente. Allora - concludeva la nostra amica - meglio scrivere storie di persone e di atmosfera.

Ho risposto in altra sede che sono d'accordo sulla sostanza ma non lo sono sulla decisione. Perché bisogna scrivere sui problemi che ci urgono dentro, anche se essi non rientrano nell'ottica del mainstream fantascientifico italiano, e questo per due ragioni: la prima è che se si è convinti della propria visione del mondo, non è male farla conoscere (se non altro si potrà avere la soddisfazione di affermare 'l'avevo detto'); secondo, da qualche tempo si sono aperte possibilità che a queste idee offrono spazio. La politica culturale della Perseo Libri di Bologna ne è un esempio per quanto riguarda la science fiction italiana, come quella della Marino Solfanelli di Chieti lo è per la fantasy, promotrice tra l'altro del Premio J.R.R.Tolkien arrivato ormai alla 13a edizione.

Un conto è pubblicare le proprie idee su una testata quale contenitore passivo di cose scritte, un altro è pubblicarle su una testata che porta avanti una precisa politica di rottura con gli schemi, e quindi un racconto pubblicato lì va oltre il suo valore intrinseco e diventa parte di un discorso ben più vasto. Discorso che, ovviamente, può interessare quelle persone che soprattutto non appartengono alla massa indottrinata, ma cercano il prodotto doc; il marchio doc lo hanno messo anche a vini e formaggi per non confonderli con quelli di imitazione o dagli ingredienti ambigui.