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Uomini sulla Luna:
George Pal inventa il cinema commerciale fantascientifico

di Riccardo Rosati

E' abitudine per gli amanti della science fiction dolersi del fatto che buona parte del cinema fantascientifico di oggi sia ormai un contenitore alquanto triviale per gli effetti speciali. Ci (me compreso) lamentiamo che la storia, o meglio narrazione, è diventata un fattore secondario nella produzione di un film fantastico, visto che l'unica cosa che interessa ai produttori e, ahimè, anche agli spettatori è la mirabilia, il trucco, il chiasso delle esplosioni in sala. In altre parole, i botti e i "tric e trac"! "Piangiamo" spesso nel ricordare quel romantico sense of wonder che ha contribuito, a cavallo tra gli anni '40 e '60 del XX secolo, a creare film indimenticabili; nei quali è la storia e non l'"effetto" ciò che conta davvero. Tuttavia, questo brutto "vizio" della spettacolarità il cinema sci-fi ce l'ha già da un po'; si è solamente esasperato nelle ultime due decadi.

Possiamo individuare la nascita della cinematografia spettacolare fantascientifica con l'uscita di Uomini sulla Luna (tit. or. Destination Moon, 1950) di Irving Pichel. Questo è da considerarsi a buon ragione il primo vero film "tutto effetti speciali" nella storia della science fiction. Uomini sulla Luna nasce dall'acume cinematografico di George Pal, di cui torneremo a parlare più avanti, il quale riuscì a conquistare con quest'opera un meritato Oscar per gli effetti speciali, oltre che un sorprendente successo di pubblico. Il sopra citato produttore di origine ungherese ebbe una delle sue tipiche intuizioni geniali quando decise di acquistare i diritti per la versione cinematografica di un romanzo, destinato a un pubblico prettamente di adolescenti, scritto da niente meno che Robert A. Heinlein. Mi riferisco a Rocket Ship Galileo (1948). La pellicola in questione venne creata col preciso intento di compiacere la massa, di fare esclusivamente botteghino e così è stato. Quello che però bisogna dire è che ancora una volta Pal, supportato dall'onesto regista di turno (Pichel), ci ha insegnato come si fabbrica un prodotto ad arte, per soddisfare anche i palati più grezzi; quelli che la fantascienza proprio non la possono digerire. Come ci è riuscito? Prima di spiegarlo, rinfreschiamoci le idee in merito alla figura di questo regista e produttore, che ha sbancato più volte i botteghini sia in America che in Gran Bretagna.

Come già detto George Pal (pseudonimo di Georg Pàl, 1908-80) è ungherese. È architetto a Budapest e lavora in seguito come pubblicitario in Olanda; finché non scopre il cinema fantastico o forse sarebbe meglio dire il contrario. Già, perché egli è il primo a intuire che con le storie sui dischi volanti e i cosiddetti BEM (Bug Eyed Monsters, in altre parole, gli omini verdi!) è possibile fare letteralmente una valanga di soldi. Comunque, chiariamo immediatamente due cose. Primo, non è mia intenzione fare qui la biografia di Pal. Secondo, se fino a questo punto è sembrato che io voglia descrivere questo importantissimo esponente della storia del cinema fantastico, come un "cinematografaro"; bene, non è affatto così! Anzi, personalmente ho sempre ammirato la sua straordinaria intelligenza nel creare ottimi film di fantascienza sempre accessibili al grande pubblico; solitamente digiuno di "cultura fantascientifica". A volte, lo ha fatto in prima persona come regista, L'uomo che visse nel futuro (tit. or The Time Machine, 1960). In altri casi, come produttore, affidandosi a registi mediamente capaci e che, aspetto fondamentale, facevano quello lui gli diceva. I due migliori esempi di quest'ultima situazione sono proprio Uomini sulla Luna e il mitico La guerra dei mondi di Byron Haskin (tit. or. The War of the Worlds, 1953).

Spingendoci un po' più avanti, potremmo persino accostare la figura di Goerge Pal a quella di un altro grande uomo di cinema; anch'egli più fortunato nella veste di produttore che in quella di regista. Sto parlando di David O. Selznick, che nel lontano 1939 iscrisse per sempre il proprio nome nella storia del cinematografia mondiale, producendo Via col vento. Selznick e Pal: entrambi uomini di spettacolo con un senso della spettacolarità innato. Maestri nel dare al pubblico quello che desidera. Figure assolute e scomode da tollerare per qualsiasi regista dotato di un minimo di personalità; cosa sinceramente più vera per Selznick. Infatti, i suoi licenziamenti in tronco di attori, sceneggiatori, ecc, sono ormai parte della storia di Hollywood. Tenendo ciò a mente, è facile capire chi "comandasse" sul set di Uomini sulla Luna e di chi sia stato il vero merito se questa pellicola ebbe un successo davvero notevole, all'epoca, per un film di fantascienza.

Ho parlato poco della storia. Che dire? Non è che sia proprio il massimo. Destination Moon è un ottimo prodotto, ma un film decisamente mediocre. È importante capire questo punto, perché un "prodotto" è un qualcosa di commerciale, che si deve vendere, perciò necessita di conformarsi a quelli che sono i gusti dei consumatori (nel nostro caso gli spettatori). Al contrario, un film è un opera d'arte frutto dell'ingegno di una o più persone e non deve forzatamente piacere a tutti.

Comunque, la storia si basa su di un tema che in quegli anni, antecedenti alla conquista lunare, destava parecchio interesse nella gente: il viaggio sulla Luna, per scoprire cosa ci fosse davvero sull'unico satellite orbitante intorno al nostro pianeta. La narrazione propone uno scienziato puro, utopista e apolitico (il dott. Cargraves) che, insieme al generale in pensione Thayer, porta avanti il progetto di raggiungere la Luna su di un razzo spaziale. Il suddetto Thayer poi è fermamente convinto dell'importanza per l'America di arrivare per prima sul satellite, in modo da garantirsi una supremazia sulle altre nazioni. Del resto, non ci dobbiamo stupire per questo atteggiamento prettamente nazionalista del film. Gli anni cinquanta sono appena iniziati e il sentimento anti-comunista e la corsa all'armamento con l'URSS sono in piena fase di sviluppo. Questo Pal lo sapeva bene e sapeva ancora meglio che allo spettatore medio americano dell'epoca sarebbe piaciuta l'idea di una "gara a chi arriva primo" con il nemico di turno. Pal gliela ha data, e lo ha fatto senza nascondersi dietro a metafore o ad allusioni di sorta. Nel film si afferma chiaramente che l'America deve conquistare la Luna, in modo da preservare la sua importanza politica. Quest'idea stuzzica anche l'attenzione di un ricchissimo industriale, Jim Barnes (John Archer), il quale decide di finanziare il progetto. Ultimo membro a prender parte all'impresa è l'ingegnere Sweeny (Dick Wesson), che sostituisce all'ultimo momento il quarto pilota, colpito da un attacco di appendicite.

Il personaggio di Sweeny è l'ennesima prova della furbizia di Pal. Il bravo Dick Wesson interpreta un irritante, e francamente stupido, omino, assolutamente scettico sul buon esito della spedizione. Per di più, costui mostra una ignoranza disarmante in materia di astronomia; la stessa che probabilmente era possibile riscontrare nello spettatore medio statunitense di quegli anni. Il buon Pal utilizza questo personaggio per spiegare, attraverso il numero infinito di domande che quest'ultimo pone ai suoi compagni, le basi dell'astronomia al pubblico. Domande della serie: "perché dobbiamo indossare questi scafandri per camminare sulla Luna?". Ma a Pal questo non bastava. Egli voleva essere sicuro che anche il più fesso tra gli spettatori potesse comprendere tutto quella che accadeva nel film, così che tutti potessero andarlo a vedere e fargli guadagnare una montagna di soldi. Colpo di genio numero due: l'aitante industriale Barnes, prima di iniziare la costruzione del razzo lunare, chiama a raccolta altri imprenditori per convincerli a finanziare l'impresa progettata da Cargraves e da Thayer. Intuendo che i magnati dell'industria statunitense potessero essere parecchio ignoranti in materia di viaggi interplanetari, Jim Barnes decide di mostrargli un cartone animato didattico, nel quale Woody Woodpecker (in italiano Picchiarello, opera del geniale Walter Lantz) illustra con un linguaggio praticamente per bambini come si sarebbe svolta la missione. Francamente, devo ammettere che un uso talmente astuto di un elemento metafilmico è davvero l'esempio definitivo dell'ingegno del cineasta ungherese. In altre parole, se la casalinga del Texas aveva ancora qualche dubbio tecnico riguardo ai viaggi spaziali, perfino dopo le innumerevoli domande che Sweeny pone durante l'intera narrazione, ora le è tutto chiaro grazie alle spiegazione fatta nel cartone animato proiettato da Barnes; dove ritroviamo una delle tante icone di un'America sana e vitale: il simpatico picchio animato inventato da Lantz.

Che altro dire riguardo alla storia? I quattro fanno questo tanto sospirato viaggio fino alla Luna. Prima di ritornare, devono risolvere un problema tecnico. Ovvero, hanno consumato troppo carburante durante l'andata, dunque si vedono costretti a lasciare un membro dell'equipaggio sul pianeta per alleggerire il velivolo. Sweeny si offre volontario, ma il tutto viene risolto grazie alla "geniale" idea di buttare via ogni componente interno del razzo. E per fortuna che l'intento di partenza degli autori era quello di creare una storia "scientificamente plausibile". Mi domando se i piloti dello Shuttle butterebbero mai via la radio di bordo e le tute spaziali, come invece fanno i protagonisti del film. Mah! Comunque, i quattro fanno infine rientro a casa e tutto finisce bene. Lo spettatore di allora si sarà sicuramente divertito, io un po' meno, e Pal ha guadagnato un sostanzioso mucchietto di soldi. Insomma, quasi tutti sono contenti. In ogni caso, la fantascienza ne esce un po' male.

Spesso si è accostato Uomini sulla Luna a un altro film dello stesso periodo: RXM Destinazione Luna (tit. or. Rocketship XM, 1949) di Kurt Neuman. Si è detto come il primo sia migliore del secondo, dato che presenta meno ingenuità tecniche. è vero. Ciò nonostante, il secondo è un film, con una storia, un messaggio chiaro e pure una discreta caratterizzazione dei personaggi. Mentre l'opera dell'accoppiata Pal-Pichel è un mero prodotto commerciale, del tutto privo di spessore narrativo. Insomma, sprovvisto di quella che tecnicamente si chiama "fabula": l'arte e il processo di narrare.

Per questo film il produttore ungherese ha messo insieme un team composto da autentici cavalli di razza: Heinlein per il soggetto e la sceneggiatura, Chelsey Bonestell per le la veste grafica (sue sono anche le stupende scenografie de La guerra dei mondi, altro film prodotto da Pal). Il risultato ottenuto è senza dubbio formalmente ottimo, per l'epoca. Non c'è che dire, una pellicola costruita ad arte per piacere a tutti o quasi. Però, resta un unico problema. Sarebbe a dire, che per quegli spettatori che qualcosa di astronomia ne capiscono e si aspettano di vedere semplicemente un bel film che narra un avventuroso e fantastico viaggio spaziale, come avviene per esempio nel già citato RXM Destinazione Luna, questa pellicola che cosa vuol dire? Credo ben poco. Guardare un film che non è tale, che senso ha? Fare soldi? Esatto! Hollywood lo ha capito bene ed ecco perché oggigiorno ci troviamo tante pellicole senza uno straccio di trama nelle sale cinematografiche.

Meglio non drammatizzare troppo, visto che generalmente lo spettatore medio è felice, i produttori ancora di più; io purtroppo no. Pace, va bene così. Parafrasando il signor Spock: "il volere dei molti è più importante di quello di uno".

Riccardo Rosati

morbius.r@tiscalinet.it