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Ditelo con la science fiction

di Renato Pestriniero

Fantascienza italiana: Pestriniero dice la sua, Ditelo con la science fiction, Considerazioni sopra una naturale dissociazione nell'ambito della science-fiction italiana e Science-fiction sui generis sono tre saggi scritti da Renato Pestriniero negli anni passati. Insieme ne esce fuori un inedito quadro pennellato sull'argomento della fantascienza italiana che tanto appassiona noi di Nigralatebra.

Ditelo con la science fiction ha già conosciuto la notorietà nel 1988, sul numero 13 di Nova/SF (http://www.perseolibri.it/).

L'autore veneziano è tra i più famosi che annoveriamo in Italia, anche perché è stato ghost writer di Van Vogt (http://www.fantascienza.com/catalogo/E0203.htm). Una breve biografia e bibliografia è reperibile su http://www.futureletture.com/biografie/pestriniero.htm; più recentemente, di Pestriniero sono usciti Settantacinque Long Tons, proprio per la Perseo Libri (editrice anche di Nova SF) dopo Una notte di Ventuno Ore, Di alcuni accadimenti a Venezia e molti altri romanzi.

Noi pubblicheremo integralmente sul Fantafolio la serie di saggi, per poi farne un'altra area fissa di Nigralatebra (LS).

Altre aree sull'argomento

Quarantacinque anni di sf italiana, di Gianfranco de Turris (http://www.nigralatebra.it/fsitalia/de_turris.htm)

Le fantasie della scienza: Contributi di N. Vallorani, M.Mongai, L. Sorge

http://www.nigralatebra.it/archivio/file15/vallorani.htm

http://www.nigralatebra.it/archivio/file15/rispondo.htm

http://www.nigralatebra.it/archivio/file14/fantasie.htm

 Sezione speciale di NL dedicata alla ItalCon a Fiuggi: Contributi di G. de Turris, E. Vegetti, G. Giachino, D. Altomare, M. Mongai, A. Wakusei; video di L. Sorge

http://www.nigralatebra.it/archivio/file17/italcon.htm

http://www.nigralatebra.it/archivio/file20/giachino.htm

Inchieste sulla fs italiana:

Farneti e il caso Occidente. Intervista a Mario Farneti, autore di Occidente

http://www.nigralatebra.it/archivio/file18/farneti.htm

Farneti in video alla Italcon 28

pnm://www.pruanet.it/video/DC3nord.rm

Speciale "Polemica Evangelisti"

http://www.nigralatebra.it/archivio/file19/specialepolem.htm

M. Farneti, A. Morganti, M. Mongai, G. de Turris, D. Altomare, F. Grasso

http://www.nigralatebra.it/archivio/file20/evangelisti.htm

F. Giovannini, M. Mongai, M. Minicangeli, C. Benedetti

Ditelo con la science fiction

Titolo di spalla su "Il Gazzettino" del 24 Dicembre 1988: "Secondo Bentsik l'ipotesi di acquisto della Cattolica da parte delle Popolari venete è soltanto fantascienza".

Ettore Bentsik è il presidente della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e considera una "tesi fantascientifica," cioè da non prendere in considerazione, l'operazione di cui sopra.

Attraverso le pagine di "Nova Sf*" Ugo Malaguti annuncia la sua strategia per una fantascienza diversa, invita a partecipare all'"offensiva di informazione, di intelligenza e di proposte," impostando una politica editoriale che non sarà esclusivamente fonte di profitto ma anche "un centro di propulsione culturale".

Ho voluto iniziare queste note con alcune citazioni per dare l'esatta misura di una situazione paradossale, cioè come, dopo 36 anni di vita, viene interpretato il termine fantascienza da Ettore Bentsik e da Ugo Malaguti, vale a dire due rappresentanti di chi rispettivamente vive al di fuori del mondo fantascientifico e di chi la fantascienza la sente in modo viscerale.

Prima di entrare nel merito della politica annunciata su "Nova Sf*" (accogliendo così l'invito a un dibattito che potrà essere sincero fino a diventare "spietato",) vorrei soffermarmi sulle ragioni per cui dopo 36 anni, esiste una visione schizofrenica della fantascienza dove, da un lato, la si considera un genere escapista buono per far passare qualche ora buca, dall'altro la si vede come unica espressione letteraria valida nell'attuale momento storico.

Dirò subito che credo nella possibilità di far entrare la fantascienza italiana in una sorta di "seconda fase," e che il compito per realizzare ciò sta in buona parte sulle spalle di chi la pensa e la scrive. Lapalissiano? Non tanto come sembra. Facciamo un passo indietro, o anche due, ed esaminiamo le ragioni che hanno condotto alla fantascienza italiana attuale. La questione si presenta con una struttura circolare che si può affrontare partendo da qualsiasi punto. Partiamo allora dall'immagine che il termine fantascienza si è procurato in Italia presso una grossa fetta di pubblico, cioè sottogenere di svago, magari simpatico e reboante, fatto di immagini colorate e fracassone, destinato ad una platea di giovani e giovanissimi. Nel significato comune del termine si rilevano alcune sfumature, e precisamente:

1. argomento da relegare nella zona dell'inattendibilità (roba da fantascienza;)

2. definizione di cosa eclatante ma irrealizzabile o realizzazione incoerente (un progetto da fantascienza / una struttura addirittura fantascientifica;)

3. termine fantasma se riferito a opere e/o autori di nome (sì, va bene, ma non è fantascienza. Questa frase si impose per la prima volta in modo massiccio quando "2001 Odissea nello spazio" sconvolse il 90% del pubblico;)

4. letteratura di élite. Ogni movimento culturale, nel suo divenire, tende a maturare, a consolidarsi e ad assumere una fisionomia ben definita. Oppure, se non risponde a esigenze interpretative, sparisce. Come mai per la fantascienza italiana questo meccanismo non ha funzionato, o meglio ha funzionato in modo anomalo lungo un arco così vasto di tempo?

Malaguti dice che il pubblico assiduo della fantascienza appartiene culturalmente alla fascia alta-altissima, ed è vero. Ma come si presenta quantitativamente questo rispetto a quello appartenente all'altra categoria, non dimenticando che il fattore quantitativo significa numero di copie vendute e questo è in definitiva l'elemento che ha sempre avuto importanza? Poiché finora il trend è stato orientato verso un prodotto destinato all'altra categoria, sostenuto non solo dai grossi editori ma da tutto l'universo iconografico, cinematografico, televisivo, elettronico eccetera nel quale siamo immersi, se ne può trarre una risposta.

Restiamo nel campo della carta stampata. Conosciamo gli errori -involontari e non- commessi all'origine sia nei riguardi dell'etichetta appiccicata al genere, sia nei confronti del prodotto nazionale offerto a rappresentarlo.

Al tempo in cui i signori Carlo Fruttero e Franco Lucentini si firmavano rispettivamente Charles F. Obstbaum e Sidney Ward fu eretto una sorta di cordone sanitario affinché il "verbo" non venisse contaminato dalla produzione nazionale in ottemperanza all'ormai famoso dogma secondo cui un disco volante non può atterrare a Lucca.

Più o meno tutti dovemmo adeguarci, vestendo panni che non erano nostri per dire cose che invece erano profondamente nostre anche se mascherate in situazioni e atteggiamenti che di nostro avevano ben poco, contribuendo così a consolidare una politica tanto più negativa in quanto proposta da una struttura che aveva tutte le possibilità per far conoscere capillarmente una produzione italiana valida e parallela a quella d'importazione.

Non vorrei però che la politica di F.& L. diventasse un altro luogo comune per addebitare al duo tutte le colpe e le cose negative che hanno caratterizzato la fantascienza nazionale. L'andazzo fu mantenuto, in maniera più o meno sentita, più o meno volontaria, anche da altre case editrici che per troppi anni si sono allineate. Non tutte, d'accordo, ma non è che di case specializzate in Italia ce ne siano state moltissime.

Vogliamo elencare alcune conseguenze di questo allineamento, conseguenze anche indirette, ma che comunque hanno portato al mulino della filosofia del disco a Lucca, e che hanno aiutato a dare l'immagine più conosciuta della fantascienza nostrana? Ecco qua: in una "lettera al direttore" su "Nova Sf* 10" Mauro Antonio Miglieruolo parla fra l'altro di disattenzione, di mancanza di contatti con gli autori da parte dell'editoria. Ha ragione. Non si può costruire qualcosa quando il risultato di mesi di fatica, di notti insonni, viene spedito ed è come se andasse a finire in un buco nero, e per avere una risposta bisogna aspettare mesi e mesi, certe volte oltre un anno. Non mi riferisco a coloro che "pretendono" una risposta affermativa (non sono da prendere in considerazione) ma a tutti coloro che vogliono sapere obiettivamente quanto valgono, se il loro lavoro può essere migliorato, se va bene

ma debba essere modificato magari per incontrare certe comprensibili esigenze editoriali, se il loro lavoro può essere continuato o se invece è una schifezza tale che è meglio chiudere baracca e darsi ad altra attività.

Questo -il colloquio fra editore e scrittore- è l'unico sistema per creare, se si vuole, un vivaio di scrittori. Adesso le cose sono un po' cambiate, adesso non è più necessario presentarsi con pseudonimi impossibili (ma sono passati 36 anni!,) il livello qualitativo è migliorato, i temi trattati esprimono maggiormente il nostro pensiero e le nostre problematiche, si agganciano con più disinvoltura al nostro background culturale, e quindi l'autore che usa questi strumenti in modo adeguato viene "compreso" meglio da chi lo legge, anche se non dobbiamo dimenticare che ancora adesso, fine anni 80, ci sono editori specializzati, residenti nella capitale, che non solo non rispondono ma non inviano all'autore nemmeno la copia firmata del contratto di sua spettanza, e l'autore è costretto, dopo ben 20 mesi di solleciti, a inviare una raccomandata A/R per ufficializzare le norme contrattuali concordate. Oppure succede, sempre ai tempi nostri, che dopo 11 mesi di silenzio da parte di un editore di prima grandezza anche nel campo del mainstream, ci si trovi nella necessità di mettere per iscritto, per evitare malintesi o altro, che il racconto è da considerare ormai ceduto altrove, e non perdere così un'opportunità lasciandolo nel limbo per chissà quanti mesi ancora.

Situazioni del genere hanno sempre creato enormi dilatazioni dei tempi, a volte datazione dei lavori, mancanza di parametri su cui impostare la produzione, possibilità di situazioni imbarazzanti e, come risultato finale, stanchezza e demotivazione.

Personalmente ci ho fatto il callo e continuo per la mia strada che è sempre stata la stessa dal 1958, ma quanti altri si sono perduti per strada sfiduciati, quanti autori validi che avevano cose interessanti da dire e che avrebbero costituito l'avvicendamento generazionale, hanno voltato le spalle alla fantascienza di produzione propria, magari convinti che questo genere non era pane per i loro denti e non sarebbero mai potuti arrivare alle cime eccelse dell'"unica" fantascienza, cioè quella di importazione? Diciamolo: in questa "prima fase" durata 36 anni sono state perdute possibilità ed energie preziose.

Passiamo ad altra causa di demotivazione nel mancato consolidamento di una fantascienza italiana parallela a quella di importazione: compenso, o meglio mancanza di compenso. Nessuno pretende di riferirsi ai livelli che si praticano all'interno dell'impero, dove chi l'imbrocca con un racconto può permettersi di mollare tutto e scrivere a tempo pieno (ovviamente chi ha la stoffa e anche un po' di fortuna,) ma pretendere un minimo di soddisfazione materiale che contribuisca a dare spinta a migliorare, quello sì.

Anche qui non tutti gli editori agiscono allo stesso modo, ma pur quando va bene ci sono ritardi non giustificabili, e viene quasi da pensare che, una volta accettato il lavoro, tutto sia finito, e il compenso, se c'è, sia qualcosa che venga elargito in più. L'idraulico che viene a sturare il lavandino pretende di essere pagato al termine del lavoro; perché non deve essere pagato con la stessa tempestività (non si pretende con le stesse tariffe) anche chi fa lavorare la materia grigia anziché la chiave inglese?

Il discorso non va ristretto a certa (ormai limitata per fortuna) editoria specializzata, ma può essere allargato al mainstream: ricordo che un noto editore con il quale avevo concordato verbalmente la cifra, al momento di stilare il contratto, a pubblicazione avvenuta, ridusse l'importo del 50%.

Andiamo avanti. Condizioni contrattuali: cedere ogni e qualsiasi diritto per un numero elevato di anni senza alcuna speranza di promozione in cambio, oppure aderire all'impegno di prima visione su qualsiasi opera futura sono clausole che mettono sulla difensiva, che frenano la produzione perché obbligano e legano, e che risultano per di più superflue in quanto applicate in un mercato dove non esistono praticamente alternative. Avrebbero valore in una scuderia mainstream, ma perché devono essere applicate dall'editoria specializzata a fronte di compensi irrisori? Sembra quasi una volontà occulta di dissuasione: se un autore di fantascienza ha la ventura di essere accettato, ebbene, peggio per lui perché dovrà sottostare a usi e costumi che sembrano penalizzazioni piuttosto che incoraggiamenti a migliorare e proseguire.

Il fatto è che per troppo tempo c'è stata l'opinione secondo la quale un autore, una volta accettato, può anche essere messo in parcheggio perché ce ne sono cento che premono alle sue spalle, l'offerta essendo di gran lunga maggiore della domanda.

Adesso non è più proprio così, d'accordo, però posso assicurare che questa figura di editore/curatore non è sparita del tutto.

E' spiacevole fare paragoni con l'estero, ma non è nemmeno male. Ecco allora qualche esempio che, per andare sul sicuro, mi riguarda personalmente.

-Editions J'ai lu, Paris. Pubblicazione romanzo: febbraio 1987; perfezionamento contratto: aprile 1987; regolazione: aprile 1987.

-Verlag Ullstein GmbH, Berlino- Perfezionamento contratto: ottobre 1986 regolazione: novembre 1986; pubblicazione racconto: novembre 1987.

-Verlag Ullstein GmbH, Berlino. Perfezionamento contratto: giugno 1986; regolazione: agosto 1986; pubblicazione racconto: ottobre 1986.

-Wilhelm Heyne Verlag, Monaco. Perfezionamento contratto: luglio 1984; pubblicazione racconto: febbraio 1985; regolazione: marzo 1985.

-The Magazine of Fantasy and Sf, Cornwall, Connecticut. Perfezionamento contratto: luglio 1988; regolazione: luglio 1988; pubblicazione racconto: imminente (ricordiamo che il presente saggio è stato pubblicato su Nova SF dell'ottobre 1988, ndr).

Da aggiungere che, nei casi in cui non fosse previsto pagamento, sta all'autore scegliere se farsi pubblicare o meno, è una scelta sua.

Ora, questo timore da parte dell'editoria italiana nei confronti del prodotto nazionale, questo mettersi con le spalle al sicuro per evitare tracolli economici, è stato finora spiegato con il fatto che ogni titolo di autore italiano rappresenta una perdita. Sarà stato senz'altro vero, ma qui il problema circolare a cui accennavo all'inizio si chiude, perché siamo tornati alle cause che hanno creato, mantenuto e consolidato per tanti anni l'atteggiamento particolare del lettore nei confronti dell'autore di casa nostra e delle sue capacità rispetto all'autore d'oltre oceano. Che poi, come giustamente dice Vittorio Catani in una sua "lettera al direttore," non è che non ci siano stati autori italiani validi, erano difficilmente validi quando veniva loro imposto di produrre una fantascienza che non sentivano, ed ecco che riappare la mancanza di volontà dimostrata ab origine dall'editoria nel selezionare e sviluppare una nostra fantascienza parallela a quella d'importazione. Anche quando un lavoro poteva andare, spesso si metteva in moto un meccanismo che puntava il dito su dettagli insignificanti trasformandoli in errori macroscopici e determinanti, generalmente agli effetti del plot troppo debole, o dispersivo, prolisso, introverso, filosofeggiante, mentre -si diceva- è necessaria rapidità d'azione, tratteggiamento scaltro dei personaggi, ritmo e vivacità. Va bene -si diceva- tenteremo di adeguarci, ma allora perché dobbiamo sorbirci certe pizze di 400 pagine dei detentori del "verbo" dove tutto quello che hanno da dire potrebbe rientrare in un centinaio di cartelle?

E non solo l'autore di importazione è stato sempre esaltato, ma quelle che all'autore italiano venivano imputate come mancanze determinanti, per l'autore straniero si trasformavano in tecniche particolari, strategie a giustificazione di intricati giochi letterari. Ecco qui che per presentare "Dramma d'avanguardia" di John Brunner, si dirà che "pur rientrando in teoria nel gruppo di opere scritte per divertimento o per soddisfare le esigenze di certi lettori, presenta caratteristiche di un certo impegno letterario e soprattutto rappresenta dei tentativi di adoperare nuove tecniche narrative del tutto assenti nella space opera del periodo precedente al 1965." Oppure, presentando "Il mistero del Krang" di Alan Dean Foster, si farà notare che "questi elementi, pur non essendo affatto nuovi, sono introdotti in modo garbato".

Per i divulgatori del "verbo" ogni cosa è permessa. E anche se "si è ironizzato sul fatto che in "Slan" di A.E. van Vogt in un futuro distante migliaia di anni da noi il dittatore della Terra viaggi in Studebaker per le vie di una città uguale a una città del 1940, in realtà la Studebaker non ha importanza nell'economia del romanzo. Anzi la famosa Studebaker è forse un fattore positivo e va vista in un discorso generale sul modo di costruire il romanzo di fantascienza." (presentazione di Riccardo Valla per "Mente suprema".)

In pratica, come succede ovunque, chi ha in mano le leve giuste può dire qualsiasi cosa perché, per giustificarsi quando non c'è giustificazione, può dichiarare che la cosa è ininfluente. Chi queste leve non le ha, non può permettersi di mettere una virgola fuori posto. Viene rifiutata una fantascienza consona al nostro retaggio culturale, magari nella forma che all'Italcon del 1984 a Montegrotto ebbi a definire "lamarckiana," però viene accettata se proposta, tanto per fare un esempio, da Poul Anderson. Andiamo a vedere cosa dice Sandro Pergameno nella presentazione di "Mirkheim": "In fondo, come dice giustamente Alexei Panshin a proposito di Poul Anderson, le sue opere sono un perfetto esempio di come si possa ottenere, in una storia di fantascienza, un giusto ed equilibrato connubio di elementi filosofici e tecnologici di amore, di poesia e di aspetti di vita quotidiana".

La psicologia, il simbolismo, la filosofia sono state sempre materie guardate con sospetto nella produzione italiana, generalmente scartate perché non rispondenti ai requisiti necessari per attrarre il lettore, per non annoiarlo, per non farlo addormentare. Solo quando questi aspetti vengono sviluppati negli U.S.A. (terra di profitto) sembra siano presentati in materia giusta, certamente meglio che non in Italia (terra di umanesimo): vediamo infatti che in "Progetto Terra" Algys Budrys "come Sturgeon preferisce concentrare la sua attenzione sullo studio psicologico dei caratteri dei personaggi più che sulle parti tecniche della vicenda... Costruisce un avvincente romanzo soffermandosi sugli aspetti psicologici e simbolici della vicenda e tralasciando invece di concentrarsi sui grossi problemi scientifici impliciti nella ricostruzione meccanica di un uomo."

Ecco perché è stato difficile veder considerata la fantascienza italiana come letteratura tout-court malgrado tanto affannarsi a dire che dovrebbe esserio, perché ciò che conta è avvincere il lettore tramite trame complesse fino all'inverosimile come faceva per esempio Frank Herbert il cui stile, anzi il non-stile, dal 1966 è leggermente migliorato. Egli nasconde la sua prosa goffa, quasi pedestre, con la mostruosa abilità di mescolare assieme gli elementi più disparati della fantascienza e delle scienze moderne" (presentazione di "Esperimento Dosadi") punto di vista ripetuto per un altro mostro sacro già menzionato, A. E. van Vogt, in occasione di "Incontri nel cosmo" allorché viene detto che i suoi romanzi, "sono a volte strani, goffi, implausibili, ma c'è una cosa che non si può negare mai: la capacità che hanno di 'prendere" il lettore... Il tentativo di A.E. van Vogt di trovare una formula che gli permetta di adoperare le parole più adatte per produrre determinate emozioni nell'animo del lettore, conduce talvolta a disfunzioni tecniche e grammaticali nella struttura dell'opera. Ciò nonostante ci sembra che si tratti di un tentativo da considerare con molta attenzione e da non disprezzare apertamente come è stato invece fatto da molti."

Quanti di questi "tentativi" furono permessi agli autori italiani affinché ciò che sentivano dentro di sé potessero dirlo con la fantascienza? Sono convinto che, con un esame sistematico e con la volontà di creare un vivaio di futuri professionisti, si sarebbero trovate idee senz'altro più profonde di quella, sempre per fare un esempio, usata da Gordon R. Dickson ne "L'ora dell'orda," un romanzo "che si inserisce di diritto in quella categoria di opere che, pur dichiarando una chiara intenzione avventurosa, riflette un concetto basilare nella filosofia dell'autore: solo l'indomabile spirito dell'uomo può opporsi con qualche speranza di riuscita ad alieni anche tecnologicamente superiori." Capirai!

E che dire de "I cacciatori della luna rossa" di Marion Z. Bradley dove "lo spunto iniziale non è certo nuovo: un uomo viene rapito e reso schiavo da un gruppo di alieni giunti sulla Terra a bordo di un'astronave. Come si può vedere bene, l'idea di partenza non è originalissima. La Bradley tuttavia riesce a rinnovare questo tema trito e scontato con notevole efficacia: prima di tutto sfrutta con eccezionale bravura gli spunti offerti dal soggetto e riesce ad ammantare di un velo di mistero tutto il selvaggio ritulale della "caccia". In un secondo luogo sa creare una enorme tensione lasciando nell'incertezza la figura dei cacciatori: chi saranno? Mostri crudeli e orribili, o invece quegli stessi compagni di ventura che ora si fingono amici al loro fianco?"

Ho citato a caso alcune presentazioni su volumi della Nord perché è la collana che possiedo con più vasto panorama di scrittori americani. Ma esempi del genere si trovano un po' dappertutto. Non si può certo incolpare gli editori per presentare al meglio le opere che decidono di pubblicare, è il loro mestiere. Ma ciò che lascia perplessi è il metro usato per valutare le opere italiane rispetto a quelle straniere.

Vorrei fare un altro piccolo esempio; anche in questo caso, per andare sul sicuro, parlo di esperienza personale. Anni fa presentai un romanzo, e il lettore incaricato disse tra l'altro che la pagina finale del primo capitolo era troppo prolissa. Feci osservare che nelle 30 righe di quella cartella avevo tracciato i seguenti temi: delineazione dei rapporti di misura del privato, influenza del potere sul ménage quotidiano dal riscaldamento automatico dei letti all'alimentazione idrica, il potere totemico del Palazzo nei confronti del protagonista, uno squarcio di privacy nell'abitazione-cubo di metri 3 per 3.

Il romanzo non fu pubblicato da quell'editore. Fu pubblicato altrove, e alcuni brani furono successivamente citati durante un seminario alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Non credo di essere l'unico autore italiano che può portare esempi simili a questo.

Ecco perché è stato difficile assegnare alla fantascienza italiana un posto sullo scaffale. Ed ecco perché, secondo me, si è verificato in Italia il grande sviluppo nella produzione fantasy. Si tratta di una diaspora: difficoltà di contatti, diverso metro di valutazione, mancanza di gratificazione e conseguente frustrazione che in molti casi ha portato all'abbandono, resistenza da parte dell'editoria specializzata nel dare spazio al nostro bagaglio culturale, tutto ciò ha lasciato spazio, in un campo che si avvicinava maggiormente al mainstream, a una fantascienza ibrida, mascherata, avvolta, definita e proposta con terminologie diverse. Benché la fantascienza rientri nell'area del fantastico, dire "letteratura fantastica" e dire "fantascienza" è diverso. Dire che una cosa è fantastica significa valutarla come estremamente bella, non c'è componente negativa, né dubbio né ambiguità. Il fantastico è accettato come letteratura, la fantascienza non del tutto (vedi punto 3 delle sfumature date al termine.) Vediamo ad esempio come certa produzione di Calvino viene definita in un articolo apparso su Panorama: Il Calvino esploratore dell'immaginario scientifico, dalle "Cosmicomiche" a "Ti con zero" (..) percorre anche l'enciclopedia del sapere scientifico senza mai dimenticare le ragioni della letteratura. (..) A me sembra che Calvino abbia sempre trattato la scienza da un'angolatura fiabesca- dice Giorgio Celli, poeta, drammaturgo, entomologo- La sua immagine è sempre stata attratta dall'inverosimile scientifico, dalle speculazioni e fantasticherie che ne poteva trarre. (..) In trasparenza si scorgono sempre Borges o Le mille e una notte. Al di là della scienza c'è la fiaba. (..) Piano narrativo e piano speculativo s'intrecciano sempre in Calvino, dalle "Cosmicomiche" alle "Città invisibili" fino a queste "Lezioni" -osserva Giorello- Vi sono domande metafisiche sottese al discorso letterario, questo probabilmente seduce un pubblico che ha un ritrovato bisogno di totalità, di affrontare non dogmaticamente, quindi attraverso la libertà della letteratura, problemi che finiscono per coinvolgere anche la scienza e l'etica." ("Calvino best-seller", di Roberto Barbolini - Panorama 10.7.88.)

Il termine fantascienza si porta ancora dietro un grosso handicap per quanto attiene il grosso pubblico, il termine fantastico no. E se anche la letteratura fantastica in toto è stata guardata finora dall'editoria italiana con occhio non troppo benevolo, nel suo catalogo ci sono troppi nomi illustri per metterla da parte con indifferenza (e, in effetti, in questi ultimi anni c'è stata una notevole rivalutazione della nostra letteratura fantastica.)

Inutile quindi piangere sull'improprio giudizio dato della fantascienza, le ragioni le conosciamo benissimo. Queste ragioni il lettore-massa non gliene frega niente di conoscerle perché è un lettore part-time che può leggere indifferentemente science fiction o gialli o pomo. Oppure appartiene alla fascia di lettori indottrinati verso un certo tipo di prodotto che gli italiani -si è sempre detto- non possono fare. Ritengo però che sia arrivato il momento di smetterla con il solito discorso che solo gli americani possono fare vcra fantascienza perché loro appartengono a una società scientifica e tecnologica mentre noi siamo imbrigliati nel nostro umanesimo. Che loro facciano della buona fantascienza tecnologica niente da dire, ma il raffronto con la nostra produzione è un falso problema perché non è più vero che non abbiamo gente che sappia costruire un romanzo su presupposti scientifici o sappia speculare sulle tecnologie di frontiera. I tempi sono cambiati, non è più vero che tutti noi scriviamo ancora con la "Divina Commedia" a fianco; di scienziati italiani che si fanno conoscere ce ne sono eccome. Il vero problema è che l'immagine della fantascienza coltivata in Italia non è quella coltivata in altri paesi, e se un Fred Hoyle o un Arthur Clarke o tanti altri possono autodefinirsi anche scrittori di fantascienza senza alcun complesso, da noi, salvo rarissime occasioni, uno scienziato si sentirebbe "sminuito" ad essere pure uno scrittore di fantascienza, anche se poi ne è assiduo lettore e contribuisce a comporre la fascia culturale alta-altissima di pubblico.

A questo punto, per obiettività, bisogna indagare anche altrove. Finora si sono sempre esaminate le "colpe" degli editori ma... non c'è proprio nessuna "colpa" in chi costruisce la fantascienza dall'altra parte della barricata? Ne vedo una, importante e sfaccettata: la pigrizia. Una rivista non piace del tutto per certi elementi che la compongono e non la si compra più; il critico dice bene di quel libro e si compra solo quello; vengono chiesti pareri, notizie, informazioni sulla propria attività, a volte anche del materiale, e non si risponde; si scrive un racconto e, se viene rifiutato, se ne scrive sì e no un altro paio e poi si abbandona magari litigando mortalmente offesi per le critiche negative.

Parlo, ovviamente, della massa di coloro che usano la fantascienza in modi diversi, che avrebbero la possibilità di costruire qualcosa di buono ma che non la "sentono" in misura tale da continuare, tentare e tentare, per anni, rubando insegnamenti in qualsiasi occasione, cercando di migliorare, di fare un discorso personale e valido, accostandosi con forza e aggressività alle grandi problematiche. Parlo di coloro che in definitiva non considerano la fantascienza una cosa seria.

Recentemente, per alcune ricerche, ho sfogliato le raccolte di "Oltre il Cielo," "Galassia," "Futuro," "Interplanet," "Gamma," "Urania" e altre: i nomi che mi sono passati sotto gli occhi sono legione, ma quanti di essi appaiono in più di 3/4 racconti, per non parlare della grande maggioranza che ne ha pubblicato uno solo? Se c'è veramente qualcosa che non si può tenere dentro e la si vuol scrivere bene e alla fine viene accettata, significa che il meccanismo funziona. Dunque, perché non continuare? Dice: ma allora le lunghe attese, la demotivazione...? Questo aspetto è stato condannato come primo in ordine di importanza, ma qui la questione è un'altra: o è la vena che si inaridisce presto, oppure c'è pigrizia a continuare, demotivazione da pigrizia. In altre parole si tratta di gente che la fantascienza non la "vive." Se uno colleziona tappi di bottiglia e questa attività la esplica in modo talmente viscerale da poter superare, attraverso essa, i problemi personali e quelli provocati dalla società in cui vive, significa che quel genere di collezionismo è la chiave giusta e che la userà giorno dopo giorno perché per lui è una cosa seria. Questo è "sentire" una certa cosa, è trasformare quella cosa in una maniglia per mezzo della quale ti sollevi al di sopra della "fatica di vivere," affronti il quotidiano e riesci a guardare i problemi con occhio critico. Se quella cosa si chiama fantascienza, tutto quanto ti circonda sarà permeato da essa, subentrerà un'ottica fantascientifica e allora non saranno i contrasti con l'editoria, i problemi di mercato o le ideologie a distoglierti dal trattare qualsiasi problematica in chiave fantascientifica, perché è una cosa seria e, soprattutto, lo fai per te.

Sono arrivato alla ragione per cui ho intitolato queste note "ditelo con la science fiction" richiamando un vecchio slogan, e perché mm è lapalissiano dire che sta a chi pensa e scrive fantascienza fornire la possibilità di iniziare una "seconda fase:" sta a chi sente la necessità di esternare, denunciare, deridere, analizzare l'uomo e il mondo in cui vive farlo con la fantascienza, perché la considera uno strumento serio. La fantascienza non ha confini, è l'unico genere letterario che può trattare qualsiasi disciplina, qualsiasi tesi, qualsiasi previsione, ma bisogna farlo da professionisti, con un impegno a migliorare al quale non si deve porre termine, accostandosi a un problema con determinazione, indipendentemente dal risultato, e anche se si è fortunati e ci si vede pubblicati alla prima o alla seconda prova, continuare ed andare avanti a testa bassa, altrimenti si è come quei personaggi televisivi che durano l'arco di una stagione e spariscono per calcare i palcoscenici di periferia. Niente di male ma, professionalmente parlando, ognuno deve occupare il proprio posto; è successo da sempre, è una selezione naturale malgrado tutti i collettivismi e i livellamenti forzati. Il fatto che oggi tutti facciano tutto non è sinonimo di professionismo.

La possibilità di fare un salto qualitativo, per chi lo voglia veramente, forse c'è: essa è data da una serie di circostanze. Vediamone alcune: dopo 36 anni, bene o male, il fenomeno "fantascienza" è entrato a far parte del nostro quotidiano e quindi si può lavorare su qualcosa di concreto, non su astrazioni o per gettare le basi di un movimento nuovo; la qualità del materiale su cui lavorare è migliorata, c'è stato uno sviluppo nella qualità, una evoluzione nella cultura di base di chi si accinge a scrivere, si scrive meglio e le tematiche sono più mature; c'è il 1992 alle porte (l'apertura del Mercato Unico Europeo, che in realtà inizierà il 1°gennaio 1993, ndr) e i fermenti per un adeguamento in vista di questa data che, comunque, cambierà molte cose, si sono manifestati sia nell'editoria specializzata che in quella mainstream; i paesi dell'est si stanno aprendo e chiedono materiale, scambi, hanno sete di conoscere e di farsi conoscere; c'è, da parte di molti, una spinta a "cambiare": il "cambiamento", enunciato in modo più esplicito è quello proposto dalla Perseo Libri per una fantascienza "intelligente", con una struttura editoriale particolare.

Ma non è solo l'iniziativa della Perseo Libri a indicare la necessità di cambiamento, anche se il suo è il movimento più radicale; la possibilità di dare spazio a una fantascienza e a un fantastico italiani di qualità la sta offrendo da alcuni anni anche la Solfanelli, così attenta alla produzione nazionale. Con il Premio J.R.R. Tolkien, giunto al suo decennale, ha saputo portare in superficie una fantasy italiana di tutto rispetto perché "sentita," agganciata a radici mitico-leggendarie nostre. "Dimensione Cosmica" continua lo stesso discorso nell'ambito della fantascienza. Nella collana "Thule" è iniziato il recupero in antologie monografiche di quei nomi che posero le basi della nostra fantascienza sulle pagine di "Oltre il Cielo." Iniziative analoghe di rivalutazione sono previste dalla Perseo Libri stessa, un programma che era in cantiere ancora ai tempi della Libra. Poi c'è la rinascita di "Futuro," altra testata storica ad impostare fra le prime un programma nazionale di qualità. Mauro Scarpelli ha iniziato un discorso molto interessante con il Premio Montepulciano, un ponte lanciato al mainstream.

Qui vorrei aprire una parentesi e riferirmi a quanto dice Ugo Malaguti in merito alla partecipazione a premi e concorsi. Sono d'accordo con lui fino a un certo punto: non credo sia da evitare la partecipazione a concorsi e premiazioni, a ricevere targhe e assegni che in definitiva sono finanziati dal partecipante stesso. Ciò che è da evitare, secondo me, è stabilire il proprio limite a tali frequentazioni. Ci sono manifestazioni di vari livelli. Per un autore che ha qualcosa da dire ritengo sia un passaggio quasi obbligato il farsi conoscere attraverso un premio, da una tribuna cioè che non sia la semplice pubblicazione su una fanzine ciclostilata. E una gratificazione economica, anche modesta, è un'ulteriore spinta a continuare. Sarebbe ipocrita non dare il giusto peso a questi particolari. Credo che ognuno di noi ricordi con simpatia ed emozione il primo premio ricevuto, la prima targa, la prima volta che ha visto il proprio nome stampato. Per quanto mi riguarda, uno dei ricordi che rappresentano questo stadio è la partecipazione a uno dei tanti premi che scorazzano per l'Italia. Fui segnalato e feci il viaggio Venezia-Roma e ritorno nello stesso giorno per portare a casa una medaglietta. Ma anche quella faticata e quella medaglietta contribuirono a darmi forza e continuare quando la frustrazione di non essere compreso, il non avere sbocchi, la rabbia nel vedere questo genere letterario preso continuamente a calci sui denti, mi spingevano a smettere. Ecco, il punto è questo: non limitare la propria attività passando da un concorso all'altro, bensì darsi da fare per migliorare e passare ad ambienti sempre più professionali, mantenendo il dubbio di non aver mai raggiunto il massimo che si può dare.

Chiusa la parentesi e torniamo alle circostanze per un salto qualitativo. Fermenti ci sono anche in sedi non canoniche: l'opera che è stata svolta in tutti questi anni in maniera sotterranea, quasi da carboneria, interessando testate non specializzate, enti e associazioni, università, seminari, luoghi di cultura, sta dando frutti. Lavori come quello che da lustri stanno facendo Eugenio Ragone, Vittorio Catani e compagnia con il teatro e la radio (oltre che con le loro opere letterarie ovviamente) ne è un esempio. Molti di noi hanno lavorato in questo senso per anni, portando la fantascienza in ogni ambiente disponibile, facendola penetrare nel modo più adatto, magari subdolamente, mascherandola, barattando la, usando sistemi diretti o ruffiani, aprofittando di tutte le occasioni in cui veniva trattato il fantastico, dando il proprio contributo perché il significato del termine "fantascienza" perdesse quella patina di irrilevanza e di limitatezza, quell'incrostazione che si è trovato addosso. Ho constatato di persona l'interesse (e la sorpresa!) suscitati nel portare la fantascienza in un ambiente estremamente cattedratico quale la Fondazione Giorgio Cini di Venezia in occasione del XXVIII Corso Internazionale d'Alta Cultura "Gli Universi del Fantastico". Gli atti del seminario curato dal Dr. Alessandro Scarsella di Roma, con la collaborazione di nomi prestigiosi quali i proff. Vittore Branca e Gilberto Pizzamiglio oltre a numerosi altri, sono stati raccolti nel volume "Fantastico e Immaginario" (Marino Solfanelli, Chieti) e devo dire che l'iniziativa è stata accolta con estremo interesse.

Insomma, è venuto il momento di contarci e di fare una scelta. Fra qualche anno ci troveremo su un mercato di concorrenza europeo, e allora l'alibi di una fantascienza italiana limitata dall'impossibilità di contrapporla a quella d'oltre oceano non esisterà più. A quel momento potremo avere una fantascienza fatta da coloro che la "vivono," e un'altra fatta da coloro che con essa "convivono." E allora ci sarà chi andrà a fare la spesa al supermercato e chi andrà alla boutique. Questo non per creare classi ma semplicemente perché è nell'ordine delle cose, senza demonizzare chi ritiene la fantascienza adatta solo per passare un paio d'ore buche, né snobbare chi la usa come strumento culturale per rappresentare il momento storico in cui viviamo e quello che potrà essere il nostro futuro.

Comunque c'è posto per tutti. Dennis William Sciama sostiene che l'universo che conosciamo è solo uno su un numero infinito. Noi conosciamo solo questo unicamente perché è il solo che garantisce la nostra esistenza. Di conseguenza le possibilità di indagare e descrivere chi abita gli altri universi sono altrettanto infinite, un campo vastissimo per usare tutte le space opera che si vuole.

Quindi lasciamo perdere perché sono state perdute tante occasioni durante la "prima fase," lo abbiamo detto e ripetuto; adesso, anche se non lo vogliamo, siamo costretti a guardare a un inevitabile futuro prossimo. Dobbiamo farlo però tenendo ben strette le nostre radici e rivalutando quello che di buono è già stato fatto ma accantonato nel disinteresse più o meno imposto. Dobbiamo proiettarci avanti sulle basi della nostra storia ricostruita. Perché una fantascienza italiana, anche se non è conosciuta dal volgo e dall'inclita al di fuori del ghetto, e buona parte di essa magari si trova ancora chiusa nei cassetti, esiste ed ha una sua fisionomia. Parlando di pittura, Paolo Rizzi dice: "Che significato ha, da parte nostra, tentare pateticamente di scimmiottare Jasper Johns o Frank Stella o magari (per dire dell'ultimo pittore giovane che sta trionfando a New York) Anselm Kiefer? I germi della cultura crescono nell'humus adatto. Diciamo quindi che è giusto che l'America crei arte americana; come è giusto che l'Europa crei arte europea. Abbiamo visto, ad esempio, come dal grande fenomeno americano della Pop Art negli anni Sessanta siano derivate anche opere autonome in Francia (coi Nouveaux Réalistes,) in Gran Bretagna (con i vari Hockney, Tilson ecc.) e persino in Italia (con i Festa, Schifano, Angeli.) C'è modo, cioè, di infilare un binario proprio, legato alla cultura del territorio, rispetto alla dominante americana."

Quanto ho detto riguardo una possibile "seconda fase" potrà sembrare utopico, ma si tratta di un adeguamento al divenire storico.

Non so cosa si riuscirà a fare; tanti anni di militanza porterebbero alla cautela se non alla sfiducia. Comunque credo che la difficoltà maggiore sarà di ordine psicologico, per una sensibilizzazione semantica, per far comprendere che fantascienza non è solo Star Wars e Star Trek. Sarà maledettamente difficile sradicare quel significato limitativo con il quale la fantascienza viene vista ancora da troppi, da uomini pubblici come Mino Damato, per esempio, il quale si preoccupa continuamente di avvisare il telespettatore che virus da computer, data-suit, messaggi subliminali, androidi eccetera riguardano fatti reali e non fantascienza, o da operatori come il presidente della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo secondo il quale un'eventuale concentrazione bancaria è soltanto fantascienza.

Per il resto, una "seconda fase" potrebbe trovare spazio se verranno messe definitivamente al bando certe soluzioni all'italiana, se non si ripeteranno gli errori del passato, se si stabilirà fra editore e autore un rapporto di reciproca serietà e professionalità, e, soprattutto, se ci sarà chi esporrà con impegno costante le proprie opinioni sull'uomo e sul mondo, le cose che per lui sono le più importanti, dicendole con la science fiction.

In caso contrario continueremo a fare da eco a discorsi altrui e il nostro continuerà ad essere un mercato da colonia anche in ambito europeo. Giustamente Malaguti dice che la fantascienza è grande quando tratta i grandi numeri e i grandi problemi. Non c'è impedimento che tenga, per un italiano, a scrivere di grandi numeri e di grandi problemi. Per prima cosa ci vogliono buone idee, tutto il resto viene dopo. E, ringraziando il cielo, le buone idee non hanno confini.