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Omaggio a Lucentini
romano, scrittore e "Marziano in Cattedra"

di Massimo Mongai

Un paio di mesi fa stavo pranzando con Sergio Valzania (pagava lui, come da una ormai triennale tradizione "nostra": ci vediamo dalle parti della RAI, lui sceglie il ristorante, io il menù e paga lui, sempre seguendo la nostra tradizione io pago solo quando ho finito un lavoro in RAI e la RAI mi ha pagato, è la mia "marchetta" a Sergio, e credo l'unica che riceva).

E parlavo di tante cose, come al solito, dalla fantascienza ad altro. Ed io citavo una frase di Asimov, messa in bocca ad Hober Mallow, della primissima seria della Fondazione: "La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci" . Frase che mi era sempre piaciuta fin da quand l'avevo letta la prima volta (1966!) e che mi aveva creato dei problemi successivamente perché la sapevo vera, verissima, ma mal si concigliava con il credo rivoluzionario e marxita che "avevamo tutti" (notate il corsivo...no, Sergio non c'entra, lui non ce lo aveva) negli anni settanta. Forte dell'allenamento ricevuto dai gesuiti ero arrivato alla conclusione che la violenza rivoluzionaria delle masse o dei particiani o delle vittime dell'oppressione era lecita, secondo quella massima di Mallow, perché era la violenza di chi era "forzato" ad essa, era "incapace" di fare altro: continuo a pensare ad esempio che la lotta partigiana in un paese militarmente occupato o sotto una dittatura vera, sia lecita.

Sergio, en passant, ha anche aggiunto che in realtà la violenza è anche una forma rozza di comunicazione (verissimo) e che anche quellla del suicidio , la violenza verso se stessi non è altro che una forma estrema e rozza di comunicazione.

Chi si ammazza vuol dire qualcosa, a prescindere anche da un eventuale ultimo messaggio scritto.

Mario Lucentini si è suicidato, perché affetto da un morbo incurabile, in fase finale e alla sua età destinato solo a farlo soffrire inutilmente altri pochi mesi. E ha deciso di suo cosa fare. Erano assolutamente fatti suoi, secondo me.

Io credo che il suicidio sia una forma di comunicazione come dice Sergio, ma anche di comunicazione aggressiva verso chi resta. Tutti quelli che restano.

Ma non mi sono sentito aggredito dalla morte di Lucentini, mi sono sentito enormente dispiaciuto, perche Fruttero e Lucentini accompagnano impagabilmente da trentacinque anni le mie letture di FS e due raccolte curate da loro due sono diventate da anni "livres de chevet" (scusate gli eventuali errori del francese, cito a memoria e si sa io non controllo), cioè i libri da capezzale, quelli che si tengono spesso se non sempre sul comodino vicino al letto, per leggeri ancora e rileggerli ancora poi.

La Ditta dei Due ha prodotto molto lavoro, prima o poi qualcuno la nobiliterà con un convegno.

Oggi, qui sul numero di Settembre di NL voglio ricordarli proprio per due di quelle raccolte di cui vedete le copertine.

"L'ombra del 2000" è stata stampata nella collana Omnibus nel Maggio del 1965 e successivamente altre volte, ma non recentemente. Stesso discorso per "Il Passo dell'ignoto" (1972)

Sono ormai introvabili, (a meno che non siano in un fondo di magazzino della Mondadori o che non li vogliano ripubblicare) e a meno che non bazzichiate per negozi di libri usati. Beh, vale la pena: c'è il meglio della fantascienza inglese e americana degli anni sessanta. Imperdibili.

Un'altra cosa voglio ricordare: Fruttero e Lucentini erano i curatori de "il Marziano in cattedra" le poche pagine in fondo a Urania degli anni 60, piene di racconti brevissimi, ma anche di disegni e poesie. Materiali che avevano in comune alcuni elementi: spesso rozzi, quasi involontariamente comici, banali; ma con una grande forza, con un grande entusiasmo e sopratuttto con quella dote essenziale alla buona e vera fantascienza , l'ingenuità, che come dico e ripeto da sempre (eccomi qui di nuovo a farlo) non vuol dire "stupidità". Ingenuus in latino vuol dire "uomo libero, degno dell'uomo libero" di colui che è "in-gens", che è in qualche modo nobile; ed è il plebeo di allora come di ora che, non capendo cosa e perché fa quello che fa l'ingenuo pensa che sia stupido. Ad esempio è da ingenui scrivere ed è da plebei deridere gli scrittori, per cui gli scrittori sono nobili ed i critici plebei.

Ma ci torneremo, anche perché voglio creare una nuova rubrica per NL, simile al "marziano in cattedra": devo solo trovare il titolo adatto.

In omaggio a Lucentini e a tutti i lettori ingenui di FS, che reputo tanti, di più, che reputo maggioranza.