Nigralatebra (logo)Il Foglio di Fantafolio

La Science Fiction è meravigliosa

Il bellissimo lavoro che segue è opera di Giuliano Giachino, ed è stato presentato alla scorsa Italcon in versione recitata, che alla voce di Giachino aggiungeva quella dell’eccellente Eugenio Ragone (qui in una foto con Vittorio Catani).

Una versione ridotta è pubblicata su carta nella eccellente Yorick di giugno (www.geocities.com/yorickfantasy, ma ordinate una copia su carta: ne vale la pena). Ringraziamo Massimo Tassi di Yorick per la collaborazione (L.S.).

Ricordiamo che il mese scorso il Fantafolio ha pubblicato uno speciale dedicato all’Italcon, con immagini e video oltre che testi e commenti.

Fantafolio 18 - Sezione speciale di NL dedicata alla ItalCon 2002 di Fiuggi

LUOGHI REALI, LUOGHI IMMAGINARI e <NON-LUOGHI> DELLA FANTASCIENZA

Nella mia biblioteca di letteratura dell'immaginario e di Science Fiction c'é un volume intitolato <Manuale dei luoghi fantastici>, di Gianni Guadalupi ed Alberto Manguel, Rizzoli, 1982. Questo divertente volume contiene oltre 1200 voci e può essere considerato un vero e proprio <baedeker> della finzione, una guida particolareggiata ed esauriente a paesi irreperibili sulle aride carte della geografia ufficiale.

Ovviamente, non é completo: comprende solo luoghi immaginari posti sulla Terra ed esclude, senza dubbio per mancanza di spazio, i luoghi immaginari dei fumetti, del cinema e del futuro; esclude anche le località realmente esistenti ma semplicemente travestite con uno pseudonimo; i Paradisi e gli Inferni, che taluni sostengono essere reali, e che comunque godono, nei testi delle varie religioni, di loro esaurienti e dettagliati cataloghi; esclude i luoghi dell'astronomia immaginaria e quindi quasi tutti quelli della Fantascienza: ed é un vero peccato, perché se il <Luogo> é sempre di fondamentale importanza nel dare ad una storia narrata un tono, un'atmosfera, un colore particolare, questo é ancor più vero per una storia di Fantascienza.

Nonostante ciò, l'idea di una Guida ai <Luoghi> della Fantascienza é affascinante ma improponibile, in quanto sarebbe di proporzioni sterminate.

Ma allora, perché non un florilegio di un numero limitato - magari un centinaio - di luoghi particolarmente interessanti, inconsueti, emozionanti, ognuno dipinto e concentrato in una pagina che rielabori, in una specie di révérie a posteriori, il sense of wonder di cui era portatore?

Tranquilli, non spaventatevi, questa cosa la sto scrivendo ma non ve la propino tutta quest'oggi: faremo solo una breve carrellata tra alcuni di questi luoghi, i più curiosi ed affascinanti. Forse alcuni di voi li hanno già incontrati in qualche libro od in qualche sogno: e spero che sentendoli rievocare vi divertiate per un'ora assieme a me.


Primo tipo: luoghi reali, cioè realmente esistenti da qualche parte, ma visti sotto una prospettiva immaginaria e fantastica.

Nella Fantascienza se ne trovano più di quanto possa parere di primo acchito: quasi tutte le grandi città americane ospitano uno o più racconti o romanzi di Science Fiction. Ma, a cercarle, troviamo anche città inconsuete e non propriamente "fantascientifiche", come ad esempio la mitica Ginevra del romanzo <City>, di Clifford Simak; oppure la città di Istanbul e, assieme ad essa , l'ile de Saint Louis a Parigi, nel romanzo <Nova>, di Samuel Delany; ed ancora, Londra, ripetutamente, e poi Mosca, Buenos Aires, Atene, e così via: lascio a voi il giuoco di identificare i romanzi originari.

Ma, per iniziare, ho scelto una città apparentemente banale, ho scelto quella New Chicago del romanzo "Return to tomorrow", "Ritorno al domani" di Ron Hubbard, in cui, dopo sei mesi di viaggio interstellare, l'ufficiale di rotta Alan Corday fa ritorno, alla disperata ricerca di Chica, la ragazza al cui amore é stato rapito una notte, sei mesi prima, nei sobborghi dello spazioporto, dalle note di una melodia dolce e terribile.

Ma Alan Corday non ha tenuto conto dell'impietosa ed invisibile ragnatela di tempo che le equazioni spaziotemporali hanno steso su di lui: nei suoi sei mesi, sulla Terra é passato un vortice di tempo, più di settant'anni, ed egli si aggira ora in una città divenuta estranea, e chi ancora lo sta aspettando non riesce a riconoscerlo più.

NEW CHICAGO

(L. Ron Hubbard: "Return to tomorrow", "Ritorno al domani")

E' di molto mutata, la New Chicago del passato, allorché Alan Corday ritorna dal Lungo Viaggio: perché, a sua insaputa, su di essa sono passati, come un turbine, non solo la furia della rivoluzione e degli sconvolgimenti sociali, ma soprattutto, e con forza ancor più dirompente, l'impalpabile scorrere della polvere, degli anni e del tempo, quello stesso tempo che, per il beffardo effetto di un'equazione matematica, quasi si arresta per i disperati viaggiatori delle stelle.

Ed ora, tra le vie polverose ed oscure di una città che egli non riconosce più, tra edifici estranei che solo a tratti ridestano in lui i sia pur vividi ricordi di pochi mesi prima, Alan si perde nella disperata ricerca del viso, dei capelli e degli occhi di Chica, che certamente ancora lo attende con speranza.

Chica, Cherita! Cherita Montgraine! Ma una via oscura, una piccola targa su di una porta, una stretta scala buia incrostata di speranze e di ricordi, non saranno sufficienti a spezzare il sottile ma definitivo incantesimo delle equazioni spaziotemporali: perché una donna può mantenere una promessa, ma questo non lo può fare il gelido  e silenzioso vuoto dello spazio.

E davanti ad Alan, ormai sconosciuto, Chica ancora attende, anche se la sua mente non è più in grado di capire, ancora ricorda confusamente e dolcemente la sua speranza e la sua promessa, attraverso il torrente di ore, di giorni e di anni che sono passati sopra di lei.


Se guardate con attenzione su di una carta geografica, scoprirete che da qualche parte, in Polinesia, c'é un atollo chiamato Enivetok. Se ne parla nel racconto "The voices of Time", "Le voci del Tempo" di James Ballard, una narrazione di qualità stilistica superiore e densissima di significati.

Alla base della storia c'é un'ossessiva sequenza di segnali radio provenienti da un determinato punto dello spazio, che un gruppo di studiosi cerca di interpretare: e la rivelazione del loro significato muterà per sempre le loro vite, proprio come il flusso impazzito dei neutrini delle esplosioni nucleari ha per sempre mutato la faccia di Enivetok.

ENIVETOK

(James Ballard: "The voices of Time", "Le voci del Tempo")

Enivetok, l'atollo del Pacifico bombardato con esperimenti nucleari, contaminato, reso radioattivo, ricoperto con un'immensa colata di cemento e dichiarato 'off limits' per i prossimi trentamila anni, é solamente nominato alcune volte, nel racconto di James Ballard 'Le voci del Tempo', ma, anche se la storia si svolge altrove, é come un'oscura presenza continua sullo sfondo, nascosta nelle pieghe dell'inconscio.

Con la medesima insistenza con cui questa presenza ci comunica in sottofondo i sordi rintocchi dell'irreparabile, la ripetitiva sequenza di segnali radio che proviene dal profondo dello spazio ci comunica, nella maniera più semplice e fors'anche più banale, ma anche più fredda e definitiva, una sentenza già nota, ma non per questo meno angosciosa: una sequenza compressa di segnali che si ripete ogni qualche secondo con una piccola variazione, un numero spaventosamente grande che ogni qualche secondo diminuisce di un'unità.

Qualcuno, o Qualcosa, lassù nello spazio, sta pazientemente, senza fretta, sfogliando le pagine del Tempo, portando lentamente ed inarrestabilmente a termine il più grande Conto alla Rovescia; e le Voci del Tempo, sulle ali delle onde elettromagnetiche, ci portano così la notizia che l'Universo ed il Tempo, un giorno, finiranno, e ci precisano anche quando : tra cinque miliardi di anni.

Ora che questo ci é stato reso noto, in modo definitivo ed inappellabile, nulla muterà attorno e dentro di noi, in apparenza; in realtà, come ad Enivetok, nulla sarà più come prima.


Ma quanti di voi immaginano che ad essere il luogo ove si svolge l'azione di un famoso racconto di Fantascienza - ha vinto il Premio Hugo nel 1981 - possa essere la ben poco fantascientifica, almeno per noi italiani, città di Milano?

Ed invece é proprio così, nel racconto <The cloak and the staff>, <Il mantello e il bastone>, di Gordon Dickson, pubblicato dalla Nord nel volume della collana Grandi Opere "I premi Hugo 1976-1983".

La Terra é stata conquistata ed occupata militarmente da una razza umanoide aliena che fa della forza e del tradimento l’uso più spregiudicato: gli Aalaag, che hanno ridotto l'umanità in uno stato di schiavitù così completa, da non lasciare intravedere alcuna via d'uscita. Chi, tra gli uomini, non si rassegna ad essere considerato null'altro che un animale inferiore, e quindi non obbedisce, non viene imprigionato o punito, ma semplicemente ucciso, sul momento; i pochissimi che osano ribellarsi con un’intifada senza speranza vanno incontro alla morte in modo atroce, mentre solo chi accetta il ruolo di collaborazionista può sperare di rimanere precariamente in vita come servitore e schiavo nella propria patria e nei propri territori occupati.

Eppure, all'interno di questo scenario desolante, una piccolissima luce di speranza torna ad accendersi, e così prende forma e si materializza, a poco a poco, il simbolo della resistenza: proprio il mantello ed il bastone nominati nel titolo del racconto.

Ascoltate: ecco la cupa Milano di Gordon Dickson, nella mia personale interpretazione.

MILANO

(Gordon Dickson: "The cloak and the staff", "Il mantello e il bastone)

E una Milano tetra, cupa, notturna, quella nelle cui vie semideserte si aggira furtivo, scivolando silenzioso nella penombra e nel buio,ed eludendo le sciabolate di luce violenta delle ronde e delle torrette degli Invasori, il viandante con il mantello ed il bastone: è forse lui a tracciare con mano malferma, sui muri e negli angoli più nascosti, il simbolo di una speranza impossibile?

Una piccola figura triangolare, affiancata da un tratto verticale, impreciso per la fretta e per la paura; un essere umano, un mantello, un bastone: è il segno che per la prima volta comparve in Danimarca, accanto ai corpi di un uomo e di una donna trucidati dagli Aalaag, e che ora ritorna, come un timido fantasma, a comparire sporadicamente qua e là, facendosi via via più ardito, sino a materializzarsi dal nulla sulle pareti degli edifici adiacenti al Quartier Generale degli alieni.

Le speranze, per l'umanità, sono più sottili del filo di una tela di ragno, ma che importa? In piazza del Duomo, e poi sotto la Galleria, una giovane donna è fuggita, dopo aver tracciato il segno, e non è stata più ripresa, o almeno così essa crede.

Forse il viandante è ancora intervenuto, nell'ombra e nel silenzio, anche se consapevole dell'inutilità del suo gesto; ma lo ha fatto, lo farà ancora: il seme è stato gettato.


Secondo Tipo: luoghi del tutto immaginari, creati dalla fantasia dello scrittore, e mai esistiti nella realtà.

Sono questi di gran lunga i più numerosi, nella Fantascienza, ed alcuni di essi sono divenuti, per gli appassionati, addirittura mitici: vi dicono qualcosa, ad esempio, i nomi di Diaspar, Shayol, Anarres, Terraporto, Clown-Town, Ragnarok, solo per citarne qualcuno?

Ma potremo parlarne più tardi, a tavola, davanti ad un buon bicchiere di rosso. Ora voglio dirvi qualcosa di Dumferline, un lontano pianeta ai margini dell'universo conosciuto su cui, in un'atmosfera di metano e tra meravigliose colline di elio solidificato a centodieci gradi sottozero, sono sepolti Olaf Stephanson e gli altri pionieri dello spazio, nel racconto-poesia "Dumferline Concerto", di Sandro Sandrelli. Dumferline sta per esplodere, sta per scomparire per sempre dall'universo conosciuto: e le aliene creature di quel mondo lontano rendono a loro modo omaggio, per l'ultima volta, agli sfortunati viaggiatori delle stelle.

DUMFERLINE

(Sandro Sandrelli: "Dumferline Concerto")

Quella di Dumferline 4, l'ultimo pianeta sull'orlo della galassia, non è una storia, ma una lunga, dolcissima poesia senza rime, un vero e proprio Concerto, come dice il titolo. E' un Requiem per il leggendario Olaf Stephanson e per i suoi compagni, che per primi vi fecero naufragio e vi morirono, e le cui tombe sorgono sotto il cielo azzurro di metano e in mezzo a prati color del cromo cosparsi di meravigliosi e letali fiori di cloro; é un Requiem anche per il più meraviglioso ed assassino dei pianeti, che simula, con i suoi rossi laghi e la sua lieve brezza venefica, un soave autunno terrestre a centodieci gradi sotto zero.

Laggiù, in mezzo alle colline ed alle foreste di elio liquido, e davanti alle dieci tombe dei viaggiatori delle stelle, le gentili, assurde creature di Dumferline suonano il loro Concerto d'addio, senza sapere di suonarlo anche per se stesse e per il proprio mondo; suonano con strumenti impossibili, che sulla Terra si dissolverebbero in un istante, in un lieve sbuffo di gas letale; suonano senza mani e senza orecchie per udire, ma provano sentimenti di amicizia, di pietà e di rimpianto.

Ma ormai tutto questo è finito, e la notizia è giunta rapida in tutti gli angoli dell'universo: Dumferline 4 di Dumferline non esiste più, è esploso, è finito per sempre. I vecchi spaziali, segnati da mille avventure su mille mondi, ricordano, in silenzio, il pianeta lontano, e sanno che non potranno mai più riascoltarne la musica.

"Dumferline Concerto, anni luce lontano".


Tra questi luoghi del tutto immaginari, ce c'é uno che trovo particolarmente affascinante e significativo come un "paesaggio interiore" ed "onirico" della mente: ed é quello che dà il titolo al racconto di James Ballard <Vermilion Sands>, pubblicato in Italia con il titolo de <I segreti di Vermilion Sands>.

Non si sa bene dove si trovi, in realtà, Vermilion Sands, si sa solo che si trova da qualche parte in America. E' come una specie di località di villeggiatura sulle soglie del deserto, e vi soggiornano i personaggi più strani e bizzarri, che paiono agire e muoversi obbedendo a impulsi e regole di comportamento del tutto irrazionali: costruiscono statue che cantano; scolpiscono le nuvole a creare forme che dureranno solo pochi secondi; agiscono secondo stereotipi di comportamento che già sono stati scritti, a loro insaputa, da qualcun altro, e da qualche altra parte; utilizzano lastre di vetro capaci di conservare e ricreare l'immagine di chi ci si é specchiato a lungo, ignorando però che  cosa potrà accadere se qualcun altro vi si é specchiato anch'egli nel frattempo.

Ascoltate, ecco l'affascinante Vermilion Sands di James Ballard, risognata da me.

VERMILION SANDS

(John Ballard: "Vermilion Sands", "I segreti di Vermilion Sands")

In un luogo non ben precisato del continente americano si trova la località di Vermilion Sands (letteralmente: Sabbie Vermiglie), strano incrocio tra una stazione di villeggiatura ed un avamposto sulle soglie del deserto, sulle rive rocciose di un arido mare di sabbia circondato da colline brulle e rossicce.

Ricchi oziosi ed annoiati, poeti ed artisti da strapazzo, donne affascinanti e misteriose, avventurieri di ogni sorta si muovono sullo sfondo di questo scenario surreale, dedicandosi ad attività simbolico-oniriche, modellando impossibili statue canore, creando effimere sculture fatte di nuvole, percorrendo senza scopo e senza meta, su navi sospinte da vele allucinate, la pianura bruciata dal sole, rivivendo più o meno inconsapevolmente parodie di reminiscenze letterarie del passato, come La Ballata del Vecchio Marinaio, di Coleridge.

E' un vento di follia e di alienazione, quello che agita e rimescola la sabbia del deserto, che stringe Vermilion Sands come un assedio, mentre le immagini dei suoi abitanti si coagulano su lastre di pigmenti fotosensibili, in terribili ritratti cangianti e mutevoli, che, ingannando chi li guarda, rivelano abbaglianti verità.

Parafrasando Ballard, il quale dichiarò che sarebbe stato ben felice di vivervi, credo di poter affermare oggi, all'inizio del ventunesimo secolo, che Vermilion Sands è in realtà un "sobborgo esotico"  non solamente della sua, come lui ebbe a dire, ma anche e soprattutto della nostra  mente.


Terzo ed ultimo tipo: e cioè quelli che io definisco <non-luoghi>, cioè a dire luoghi ove si svolge un'azione, ma che non sono reali, fisici, tridimensionali, ma si trovano invece  al di fuori dello spazio o al di fuori del tempo, o che dello spazio e del tempo non sono che un simbolo, un'allegoria.

Anche qui, qualche esempio. Vi ricordate l'Eternità del romanzo <The end of Eternity>, <La fine dell'Eternità>, di Isaac Asimov, quel mondo posto al di fuori del normale scorrere del tempo, e proveniendo dal quale il tecnico Harlan si introduce nella realtà per modificarla a suo piacimento, con mutamenti quasi impercettibili che, amplificati dalla marea del tempo, arriveranno a determinare, a millenni di distanza, il sorgere o lo scomparire di intiere civiltà?

Oppure, avete presente il magico ed inquietante Locale (si, proprio un Locale sul tipo di un night-club, con tanto di barman, tavolini, separés ed entraineuses - manca solo il disk-jokey, ma a quel tempo - quello in cui la storia fu scritta - non usava ancora) rigorosamente all'interno del quale si svolge tutto quanto il romanzo <The big Time>, <Il grande Tempo>, di Fritz Leiber?

Il LOCALE

(Fritz Leiber: "The big Time", "Il grande Tempo")

Fuori, attorno al Locale (ma è fortemente sconsigliabile uscirne), galleggia un pò di tutto, nella luce bianca ed irreale di un luogo atemporale e fuori dallo spazio: dinosauri, relitti, astronauti ed astronavi perdute.

All'interno, come su di un immaginario palcoscenico, si riposano in una breve licenza per riprendersi dai terribili stress psicofisici cui sono sottoposti, i combattenti reduci dalle battaglie della Guerra del Cambio, che si svolge in tutto lo spazio ed in tutto il tempo: uomini e mostri, esseri umani ed alieni provenienti da tutte le epoche e da tutti i mondi, che, agli ordini di inconoscibili entità superiori, chiamate i Ragni ed i Serpenti, combattono tra di loro manipolando e modificando il passato.

Una cavalcata di ussari sulla Nevski Prospect di Leningrado ha mutato la storia, e mentre la seconda guerra mondiale è stata vinta dai nazisti, già qualcuno trama nell'ombra, progettando di rapire, nel corso di una rappresentazione shaekspiriana, Elisabetta Prima d'Inghilterra, e di sostituirla con un'emissaria dei Serpenti.

In questa scatola cinese di rappresentazioni e recite che sconfinano l'una nell'altra, la realtà della Storia si modifica, si fa aleatoria e temporanea, e le nevrosi e le alienazioni della nostra esistenza aleggiano nel Locale in un inestricabile intreccio di riferimenti reali ed immaginari: ma quali sono reali, e quali immaginari? Al lettore smaliziato e curioso il non facile compito di districare gli uni dagli altri.

Si potrebbe forse dire con Greta, l'entraineuse che lavora nel Locale, e con le parole stesse di Leiber:

"Se avete mai avuto dubbi sulla vostra memoria, se essa non vi dà sempre lo stesso ritratto del passato, se avete la sensazione di star mutando nella personalità per opera di forze esterne al vostro controllo, se temete i Demoni del Tempo e dello Spazio, allora, pur senza averne conoscenza diretta, la Guerra del Cambio vi ha sfiorato ".

Sullo sfondo, nell'ombra, senza comparire mai, i Ragni ed i Serpenti sono il chiaro simbolo del Regista, del Burattinaio, del Destino, tutti con l'iniziale maiuscola, e magari anche del nostro Inconscio, che spesso ci spinge in direzioni che noi ignoriamo e lui solo conosce e giudica.


Qualcuno di voi ha mai sentito parlare del Boulevard dell'Alpha Ralpha? Credo proprio di si, anche perché il suo nome corrisponde al titolo del famosissimo racconto di Cordwainer Smith.

E allora vi ricorderete che l'Alpha Ralpha Boulevard é una specie di reperto archeologico del più lontano futuro, e di un lontano passato per il tempo della narrazione. Si erge maestoso, si innalza tra le nuvole, e termina all'improvviso, lassù, sbrecciato e distrutto da chissà quale tempesta, bomba o terremoto. Ma lassù in cima, proprio al suo limite estremo, c'é qualcosa che gli uomini cercano disperatamente....., c'é l'Oracolo che legge nel cuore e nella mente degli esseri umani, e rivela loro, ma con parole oscure, il futuro....., e l'Oracolo si chiama Abba-Dingo...., e forse non é altro che un vecchio computer impazzito e malfunzionante.......: ecco perché ritengo che il Boulevard dell'Alpha Ralpha sia un luogo interiore, del cuore e della mente, e possa quindi essere considerato a tutti gli effetti un <non luogo>.

IL BOULEVARD DELL'ALPHA RALPHA

(Cordwainer Smith: "Alpha Ralpha Boulevard", "Alpha Ralpha Boulevard")

E' possibile paragonare il Boulevard dell'Alpha Ralpha alla musica di una canzone udita da lontano, che pare provenire dal passato e dal futuro assieme, che risuona da sempre nel ricordo e nel subconscio di tutti i sognatori e di tutti gli appassionati della Fantascienza, e che riporta loro il fascino di un mondo lontano, dei favolosi tempi della Riscoperta dell'Uomo, della incantevole e terribile avventura di Paul e Virginia e degli occhi misteriosi della ragazza-gatto G'Mell.

Incredibile ed assurdo, gigantesco ed entusiasmante relitto di un'epoca passata, il Boulevard si erge verso il cielo diretto non si sa dove, i vetusti lampioni spenti e solitari, spazzato dal vento e dai ricordi, e si tuffa lassù nelle nuvole e nelle tempeste dell'atmosfera e dell'inconscio, terminando all'improvviso come un rudere tronco, davanti al vuoto senza fondo della Verità.

Sali sul Boulevard dell'Alpha Ralpha! Sali sul Boulevard al suono di un'antica canzone! Arranca sulle sue rampe come un drogato, sempre più su, fino in fondo, fino ad incontrare te stesso! Lassù ti attende l'Abba-Dingo, che, leggendo nella sfera di cristallo di un antico computer, sfoglierà con sensibili dita elettroniche le pagine del tuo animo, e con furtivi aghi roventi stamperà nella tua carne la Verità che ancora non conosci e che non ti é consentito conoscere: quella che, da sempre, sta scritta nel tuo destino.


Ma esiste anche il <non-luogo assoluto>, ed é di questo soprattutto che voglio parlarvi: e lo si trova nel racconto <Drunkboat>, <La barca ubriaca>, di Cordwainer Smith, assai liberamente ispirato, come evidente dal  titolo, alla lirica <Le bateau ivre> di Rimbaud.

Ora, qui necessita una breve premessa: sapete che l'immenso universo creato da Cordwainer Smith, ed all'interno del quale si collocano, in tempi diversi, tutti i suoi racconti e romanzi, é retto da un'oligarchia tollerante ma ferma e talvolta crudele, quella dei Signori della Strumentalità, ovvero, con un definizione diversa ma anch'essa affascinante, dei Messeri e delle Madonne del Grande Ausilio.

Orbene, in questo universo l'uomo, nella sua progressiva colonizzazione dello spazio siderale, ha escogitato diverse modalità di viaggio spaziale: dapprima le normali e tradizionali astronavi, con un raggio d'azione assai limitato; poi le meravigliose ed immense vele di alluminio spinte dal vento solare, che solcano silenziose il vuoto siderale a velocità prossime a quella della luce, con dietro di sé il loro straordinario strascico - io lo vedo come un diadema - di migliaia di chilometri di cellette adiabatiche contenenti i passeggeri ibernati; ed infine il cosiddetto "Planoform", un'elegante e geniale rivisitazione del vecchio iperspazio, mediante il quale é possibile spostarsi in tempi soggettivi brevissimi da un punto all'altro dell'universo, perforando - si può dire così? - la curvatura dello spazio.

Ma Messer Jestocost (o Messer Crudeltà, a vostro piacimento), pensa che vi sia un altro sistema ancora, per viaggiare nello spazio: e cioè quello di passare direttamente - ed ecco il nostro <non-luogo> -  attraverso il punto dove il Continuum spaziotemporale si ripiega su se stesso: Spazio 3.

Ed allora seleziona l'essere umano maggiorente dotato, in tutto l'universo, di potenzialità di ira, di furore e di volontà, in altre parole di <hybris>, Artyr Rambo di Terraquattro. E poi lo trascina con sé in dodici giorni e dodici notti soggettive di Planoform ininterrotto, oltre all'avamposto di Baiter-Gator, sino al luogo più remoto e sperduto nella profondità dello spazio: e lì giunto, gli comunica che Elizabeth, la sua donna, é ormai morente, ed invoca la sua presenza da un lontano pianeta.

Artyr  Rambo di Terraquattro non c'é più, é scomparso in un singolo istante davanti agli occhi di Messer Crudeltà. Ed allora Messer Crudeltà naviga all'indietro per altri dodici giorni e dodici notti ininterrotte di Planoform, attraverso l'iperspazio, e quando giunge dove Elizabeth si trova, Rambo é già lì da dodici giorni; semincosciente, disastrato, ferito, forse morente, ma é già lì da dodici giorni: perché, nel suo viaggio, é passato direttamente attraverso il cuore del Continuum spaziotemporale, attraverso Spazio 3.

Un dubbio: questo racconto e questo nome, 'Rambo', sono di gran lunga anteriori agli omonimi film. E' forse da questo Rambo che deriva il nome dell'assai meno gradevole personaggio dei film di Silvester Stallone? Se fosse così, mi dispiacerebbe.

E per finire, ecco il viaggio di Artyr Rambo di Terraquattro attraverso Spazio 3, con le parole di Cordwainer Smith rivisitate dal sottoscritto.

SPAZIO 3

(Cordwainer Smith: "Drunkboat", "La barca ubriaca")

L'avamposto di Baiter-Gator é il luogo più remoto mai raggiunto dall'uomo nello spazio; oltre ad esso, a dodici giorni consecutivi di planoform dalla galassia più vicina, vi é un luogo così lontano che neppure la fioca luce di una singola stella riesce a perforare il nero bozzolo di oscurità assoluta che lo circonda, ma si perde nel nulla prima di raggiungerlo.

Eppure, da questo punto sperduto nell'immensità dello spazio, in un singolo istante, in un solo attimo atemporale, Rambo é ritornato, in un turbine di furore, volontà e disperazione, vicino ad Elizabeth morente, che lo attendeva e lo invocava.

Ed ha fatto questo, non con le grandi vele silenziose che solcano il normale spazio tridimensionale, né per mezzo del planoform, che consente all'uomo di percorrere le segrete vie sottese alla curvatura dello spazio stesso, ma bensì direttamente attraverso il cuore del Continuum, attraverso le innominabili regioni di Spazio 3, ove ogni cosa coesiste, immobile, nello stesso luogo e nello stesso tempo.

E queste regioni egli le ha percorse in un singolo attimo durato millenni, tra onde di stelle e liquori di musica, scorgendo senza occhi "tutte le cose che gli uomini hanno pensato di vedere", vedendo le note ed udendo i colori, come un relitto impazzito nell'oceano del nulla, come una vela squassata da un vento inesistente, come un naufrago senza timone, come una barca ubriaca.

E allora? La Science Fiction é o non é meravigliosa?

Grazie per avermi ascoltato.

FINE