Nigralatebra (logo)Il Foglio di Fantafolio

"E Cantò Per Tutta La Notte"

racconto di Gabriele Guerra

Lasciamo che Gabriele si presenti da solo:

"Sono nato a Napoli, ma romano di adozione. Scrivo di fantascienza, e in assoluto, da 4-5 anni, mapurtroppo lo faccio molto poco, diciamo un paio di racconti completi all'anno. Le idee invece "fioccano come nespole" (per dirla con Biscardi), bisognerebbe solo trovare il tempo per realizzarle e chissà, forse ci scapperebbe pure un bel romanzo. Riconoscimenti: primo all'Alien alla prima partecipazione, secondo alla seconda (e di conseguenza due volte in finale al Premio Italia), Best of Delos nel 2000, e secondo alla prima edizione dello Space Truckers. La prima "creatura" che ho avuto il piacere di vedere stampata su carta è stata il racconto "Il tempo si fermò esausto", contenuto nell'antologia "Carri Futuri". Fra breve un altro paio di titoli, "Cedric Andersen" e "Nello specchio della mente", appariranno su antologie curate da Franco Forte per la neonascente editrice Solid.

Quello che vi propongo è un racconto finalista al Cristalli Sognanti, classificatosi ottimo nono, leggermente rieditato per l'occasione (non si finirebbe mai!). Ricordo che fu scritto in varie tappe, a distanza di anni: una intro di effetto senza neanche sapere dove andavo a parare (un po' come un teaser di Star Trek), dopo un bel po' la scena finale e basta, e dopo un altro bel po' (un mare di tempo) in una botta sola tutta la parte centrale. Sembrerebbe caotico ma non di rado procedo così, e in questo senso non riesco a capire come si possa scrivere senza l'ausilio del computer. A volte mi siedo alla moviola per rimontare il "girato", sposto un pezzo là per migliorare un certo effetto, uno qua per aumentare la suspance, e così via. D'altronde il cinema, come la musica, è un'altra delle mie passioni, tanto che ultimamente mi sto interessando al videomaking attivo."

E CANTO' PER TUTTA LA NOTTE

di Gabriele Guerra

1.

Aprì gli occhi e vide quello che non avrebbe mai voluto.

Sentì l'aria fresca del mattino scivolargli lungo i polmoni, come se fino a un attimo prima non stesse respirando, e la voce di pochi uccelli dispersi fra i rami sopra di lui. Scorse anche la luce rivitalizzante del sole fra le fronde immobili degli alberi; cercò di assaporarne il tepore abbassando di nuovo le palpebre, pur sapendo che di lì a poco non l'avrebbe tollerata: sarebbe diventata così calda da costringerlo a ingoiare i vapori appiccicosi dell'asfalto rovente.

La strada era dilaniata da una lunga ferita cosparsa di pietre e rottami, alla cui fine riconobbe il loro turbocopter semidistrutto, disteso su un fianco come un gigantesco bovino abbattuto dalla siccità.

Altri intorno a lui - storditi come lui - si stavano riavendo, ma nessuno si era rimesso in piedi. Erano ancora tutti allacciati alle personali gabbie di emergenza, sbalzati fuori dall'apparecchio nel momento che il computer aveva valutato come più idoneo.

Programma perfetto, visto che erano ancora vivi.

Sentì lo sganciarsi delle numerose cinture, delle sue e degli altri, poi a poco a poco riconobbe, prima nella mente e poi al tatto, tutta la sua dotazione, le armi, la tracolla con le munizioni e il resto dell'equipaggiamento, e appena più in là un cadavere marcito, vecchio di tre mesi almeno, con le labbra rattrappite dalle bruciacchiature e i denti scoperti. Sembrava gli sorridesse, con un occhio cavato e l'altro senza palpebra, come per ricordargli che non era un gioco, che le sue armi servivano a uccidere per davvero.

Ecco quello che non avrebbe voluto vedere.

- Siamo ancora tutti interi? - domandò a voce alta sorprendendo perfino se stesso, perché fino a un secondo prima non era sicuro di essere in grado di parlare.

- Penso di sì - rispose un compagno dietro di lui.

- Parla per te, io dentro mi sento tutte le ossa sbriciolate - obiettò un terzo massaggiandosi la spalla.

- Ma cosa ci è successo?

- Il turbocopter... Devono averlo avvistato e abbattuto prima che giungessimo a destinazione.

- Ascoltate...

Un fremito lontano, una vibrazione del suolo e poi dell'aria, stava crescendo facendosi sempre più distinto, fino a materializzarsi nell'inconfondibile rombo di un vecchio motore. Un pesante veicolo per il trasporto civile attraversò la strada sulla quale erano atterrati, all'altezza di un lontano incrocio.

- Laggiù! - indicò uno.

- Credete che ci abbiano visto?

- Non c'è tempo per sperare il contrario.

Scattarono in piedi all'unisono, come se i fili di quelle marionette fossero collegati alla mano di un unico burattinaio.

- Quanti siamo? - chiese lui riparandosi dietro un'auto in sosta.

- Nove in tutto.

- Allora tre gruppi da tre - e non c'era bisogno di aggiungere altro.

Si divisero senza esitazioni proprio nel momento in cui il camion tornava indietro sulla strada principale, nella loro direzione.

- Non possono essere così stupidi - mormorò uno.

Sollevò un braccio in direzione del drappello che si era andato a dislocare sulla sinistra, dietro un'edicola, e muovendo soltanto le dita della mano codificò il suo messaggio con una sequenza di rapidi segni.

In due avevano già reso operativa l'unità anticarro da spalla ed erano pronti a far fuoco.

Che peccato sprecare un confetto per così poco, pensò.

Poi notò che il camion avvicinandosi si discostava impercettibilmente dalla linea di separazione dei due sensi di marcia, e fiutò il pericolo.

Troppo tardi ormai. Era stato già fulminato nel mezzo della schiena.

- Dietro di noi! L'autobus è vuoto! - urlò il compagno accanto.

Anche se vuoto il pesante automezzo era già ridotto in frantumi, scheletro arroventato che continuava su quattro ruote il suo viaggio oltre la morte. L'attimo sprecato per centrarlo poteva costare caro a quelli dell'anticarro, ma fortunatamente era già scattata la contro copertura da parte del terzo gruppo.

Seguirono brevi raffiche delle mitraglie leggere, poi la piccola battaglia alle loro spalle poteva dirsi conclusa.

- Si stanno ritirando…

- Ma non sono quelli dell'automezzo, non possono averci accerchiato così in fretta.

- Hai ragione, infatti eccoli che arrivano. Non più di tre, in ordine sparso - rispose l'altro, mentre faceva scattare un sibilo con un movimento del pollice vicino alla cintura.

- Cosa fai?

- Carico l'ustionatore, quello là lo voglio far soffrire.

- Ma è troppo lontano.

- Sì, ma sembra che si stia avvicinando... - ghignò, poi si rivolse direttamente al nemico: - Sei troppo sicuro di te, amico mio.

La carcassa dell'autobus intanto stava proseguendo il suo percorso cieco, destinata a ribaltarsi non appena avesse raggiunto l'alto marciapiede di fronte a loro.

Altre raffiche, altre velocissime segnalazioni in codice, poi si udì la sorda deflagrazione dell'ustionatore lanciato a mano, con precisa parabola.

- Cotto a puntino...

L'autobus si schiantò rovesciandosi. Sembrò che prima di arrendersi cacciasse un ultimo urlo di rabbia, poi rimase solo il crepitio delle fiamme e l'odore acre della gomma fusa.

Uno del terzo gruppo gesticolò rapidamente qualcosa con la mano destra, proprio nell'istante in cui due compagni delle altre squadre si erano voltati a guardarlo, ripetendo a voce l'ordine per quelli che gli erano accanto.

- Offensiva 1-3-1.

Una raffica molto precisa, di semplice avvertimento visto che erano bene al riparo, li fece rintanare ancora più accuratamente.

dodici... (complimenti per la mira)... quattordici... quindici!

Sgattaiolarono fuori come un branco di iene che fiuta sempre più copioso il sangue di una preda già ferita al primo agguato.

Il loro fuoco incrociato sembrava coordinato con rinforzi invisibili comparsi all'improvviso da un'altra dimensione. Invece tutto era frutto del semplice addestramento, esercitazioni così perfette da aver plasmato un'intesa più efficace del pensiero di una singola mente.

 

- Tutti sistemati? - chiese uno agli altri sette alla fine di tutto.

- Sì e no - rispose ironico quello che aveva lanciato l'ustionatore.

Con un piede aveva appena rigirato il corpo carbonizzato del suo "amico", ed era rimasto fermo a guardarlo dritto in faccia, o quel poco che le bruciature avevano risparmiato, come incantato.

- Non credo che fosse la prima volta che usavi quel giocattolo - notò l'altro.

- No, certo che no. Ma è più forte di me, quando guardi un cadavere così conciato, e sai che non è del tutto morto...

- E magari sta anche pensando che noi siamo qui a osservarlo... ti piace, non è così? Sarà meglio andare, gli altri non tarderanno.

Ma l'altro non si mosse. Adesso sembrava tormentato da un dubbio.

- Non mi piace, mi spaventa. Cosa siamo disposti a rischiare...

L'inattesa risposta era un fantasma infuocato saltato fuori dai resti in fiamme dell'autobus. Un demone furioso scacciato dalle viscere stesse dell'Inferno, risalito sulla terra per sparare all'impazzata contro un bersaglio che neanche poteva più vedere.

Ecco quello che erano disposti a rischiare in nome della guerra: avanzare allo scoperto sicuri di essere intercettati, nascondersi nel cuore dell'incendio in attesa di un momento propizio per consumare la propria vendetta. Poche raffiche scaricate al buio, un attimo prima della morte più scontata, affidando al puro caso l'esito della rappresaglia.

 

- Abbiamo commesso delle ingenuità e abbiamo anche una perdita.

- Senza contare che potevano essere due...

- Nel complesso la squadra si è mossa bene, ma non ci possiamo permettere una perdita ad ogni scontro.

- Se solo avessimo avuto il tempo di mettere queste... - disse uno impugnando un tubetto di alluminio.

- No, niente scuse. Questo è supporto tecnologico che può mancare in ogni momento. Noi possiamo vincere a mani nude, ricordatelo.

- Comunque sia... avete tutti l'applicatore? - chiese l'altro.

Una serie di brevi ronzii fu la risposta anche per il successivo invito ad utilizzarlo.

Poi per ultimo accostò agli occhi il tubetto contenente le speciali lenti a contatto, prima sul destro poi sul sinistro, dopodiché vide finalmente scorrere le prime proiezioni dell'elaboratore interno, come su di uno schermo costantemente sospeso davanti a sé a mezzo metro di distanza.

- Valutazioni sul primo contatto con il nemico?

- Sembrerebbe poco più che una passeggiata...

- Non parleresti così se quello dell'autobus ti avesse preso.

- Hai detto bene, non parlerei proprio. Ma visto che lo posso ancora fare...

- Comunque non tiriamo somme affrettate. Forse sono capaci di sacrificarsi, di mostrarsi scarsamente equipaggiati pur di farci abbassare la guardia.

Qualcuno specificò: - Un diversivo di questo tipo lo usa chi è sicuro di fregarci in un colpo solo al secondo contatto. Quindi in campana.

- Ma visto che non siamo stati sbarcati dove era previsto, forse siamo ancora in una zona periferica, dove mancano i regolari.

- Un motivo in più per restare concentrati: il peggio deve ancora venire.

- Oppure il turbocopter è stato intercettato proprio dove era più probabile che ciò avvenisse... - fece l'altro. - Come vedete non abbiamo alcuna certezza, ma questo è il motivo per cui il piano è elastico e noi siamo capaci di cambiare in corsa.

- Il piano... - mormorò uno che ancora non aveva parlato.

- Noi siamo capaci di cambiarlo. Sì, è tutto vero, ma noi... Sapete dirmi noi chi cazzo siamo?

 

2.

Il manipolo si era subito messo in moto, dopo una veloce ispezione dell'area del breve scontro.

In due avevano dato un'occhiata ai cadaveri dei nemici, per recuperare ciò che restava di utilizzabile e desumere informazioni di qualsiasi genere; due si erano occupati dei dintorni, cercando di capire dove si trovavano e dove si dovevano dirigere per proseguire nella missione; due avevano frugato la cabina di autopilotaggio del turbocopter, e gli altri due l'abitacolo che li aveva ospitati fino all'intercettazione e successiva espulsione automatica.

Ora parlavano mentre correvano.

Stavano evitando accuratamente le strade. Attraversavano cortili interni, appartamenti, cantine e seminterrati. Si affiancavano, si superavano, si dividevano e si ricongiungevano. A turno qualcuno si doveva fermare per far saltare una serratura o scavalcare una cancellata, ma puntualmente altri lo avevano preceduto sulle ali o si erano attardati per coprirgli le spalle.

Ruotavano costantemente nelle diverse mansioni, dividendosi i rischi fino al minimo punto percentuale, e nel frattempo approfittavano per fare rapporto sulle rispettive ispezioni.

- L'autoguida era distrutta; impossibile recuperare informazioni sulla destinazione.

- Deve essere impossibile. Un dispositivo di autodistruzione, qualora nell'impatto non vadano perse le banche dati: è quello che l'ha messa fuori uso.

- Così come sono fuori uso i nostri cervellini - si intromise un altro.

Non rinunciava mai all'ironia, il mago dell'ustionatore a mano.

- Già, nel nostro abitacolo abbiamo trovato i caschi intatti, l'unica cosa ancora funzionante su tutto il turbocopter.

- E totalmente inutile. Vorrei conoscere quel simpaticone che ha programmato i caschi con l'annullatore di memoria: alla fine sono l'unica cosa che ti ricordi.

- Anche quando si tratta di combattere, mi sembra che ci si schiariscano le idee.

- Ma quello è istinto. È come respirare.

- Il nemico possiede la sonda per la neuro-scansione. Se solo uno di noi fosse fatto prigioniero, se solo uno dei nostri cadaveri finisse sul tavolo di un laboratorio, sarebbe la fine di tutto il piano strategico. Ma con l'annullatore di memoria li freghiamo.

- Niente male, se non altro perché così il nemico sa che anche la tortura è inutile.

- Da quanto avremo escogitato questo sistema?

Di volta in volta qualcuno interveniva, recitava la propria battuta di copione e poi lasciava il posto ad un altro. Eppure non sembravano dialoghi prestabiliti, c'era sempre spazio per osservazioni di carattere personale, anche se puntualmente, prima che uno potesse terminare la frase, ad un altro appariva ben chiara nella mente una risposta, e poi una domanda, e così via.

Era fin troppo evidente che senza le continue e reciproche imbeccate, nessuno di loro sarebbe stato in grado di completare il puzzle da solo.

- Meno domande - concluse uno. - Più scopriamo da noi adesso, e più il nemico penserà che quelle torture gli possono ritornare utili.

 

Il secondo contatto col nemico avvenne nel modo più indolore che si possa immaginare, sia per le vittime che per i superstiti.

Di tanto in tanto il gruppetto di senza nome si trovava costretto a tagliare trasversalmente una delle grandi arterie della città. Andare avanti attraverso fabbricati, capannoni, depositi e stretti vicoli era possibile fino a un certo punto; alla fine poi arrivava sempre il momento di attraversare una strada più larga procedendo praticamente allo scoperto.

La vittima non ebbe il tempo materiale per accorgersene. Freddato in piena nuca si accasciò senza poter esalare neanche un alito di dolore.

I superstiti non dovettero affrontare nessuna sparatoria o azione di guerra vera e propria. Il tiro a cui si erano esposti era quello di un cecchino programmato e chissà quanto lontano, per cui chi per pura fortuna aveva già attraversato la strada illeso continuò la sua marcia, mentre i rimanenti due restarono tagliati fuori dal gruppo. Ora che il cecchino si era riattivato avrebbero dovuto cercarsi un altro punto in cui passare dall'altra parte del quartiere, senza nessuna garanzia di trovarne uno più sicuro.

Nessuno poteva aspettare nessuno.

Comunicarono via gestuale l'ipotetico luogo e momento di riunione e proseguirono separatamente, sapendo benissimo che una squadra composta di soli due uomini aveva un solo pregio, quello cioè di poter passare più inosservata, ma tantissimi difetti: praticamente una probabilità su cento di resistere per più di 24 ore in territorio nemico.

 

3.

Le strade erano ancora in perfetto ordine. Le tantissime auto in sosta, diligentemente parcheggiate, non davano ancora segni di corrosione.

Difficile immaginare quanto tempo prima fosse avvenuto l'esodo degli abitanti della città, ancora più difficile intuire le modalità con cui si era compiuto, vista la diffusa quiete che traspariva da quell'ordine.

Unica "nota stonata" i pochissimi corpi senza vita di altri soldati, vittime di precedenti scontri - ma ne avevano contati appena una decina in tutto - e poi un altro turbocopter simile al loro, anch'esso abbattuto e inservibile.

Era come attraversare una grande fotografia a tre dimensioni. Quell'ultima istantanea prima della fuga generale sembrava aver fissato la vita della metropoli in un momento qualunque, senza lasciare alcun indizio o segno di un precedente periodo di panico, disperazione, allarme, invasione, resistenza o altro. L'unica cosa che in fondo mancava erano proprio le persone, un dettaglio di non poco conto certo, ma meno importante di quello che si potrebbe pensare.

In fondo una città è fatta anche di silenzi e tranquillità, di mattine all'alba, di giorni festivi, di notti inoltrate, di chiuso per ferie, e per accettare quello scenario di desolazione forse gli uomini della squadra ripensavano inconsciamente proprio a quei momenti.

Non vedevano una metropoli definitivamente senz'anima, ma percepivano quel vuoto come una semplice pausa delle sue molteplice attività.

 

Per la notte il gruppo fissò l'accampamento all'ottavo piano di un bel palazzo della buona borghesia.

Di questa estrazione dovevano essere stati un tempo i suoi condomini, almeno a giudicare dagli arredi, il grado tecnologico degli elettrodomestici e la qualità dei vestiti ancora ben piegati nei profumati cassetti.

Dal terrazzo del fabbricato era possibile abbracciare l'orizzonte di tre quarti della città fantasma, e in due vi erano saliti proprio per fare il punto dettagliato della zona circostante e dei possibili obiettivi.

Il buio era totale.

- Come ti sembra? - domandò il primo, dopo che aveva scandagliato con attenzione gli isolati, le case, la collina alle loro spalle, una clinica sul davanti e una caserma sul retro.

- Bella - rispose l'altro. - Mi sembra proprio una gran bella città.

Poi aggiunse con convinzione: - Ci veniamo a riprendere casa, maledetti bastardi.

- E tu che ne sai?

- Niente. Me ne sono convinto. Mi da più forza. Loro ci hanno cacciato, ma noi non ce ne andiamo via così. Siamo tornati per fargliela pagare.

L'altro sorrise largo, facendo di tutto per smontarlo: - Magari sei uno sporco mercenario pagato da qualche imperialista per controllare una piantagione di caffè, per trucidare schiere di schiavi giustamente in rivolta. E sei pagato una miseria, te ne accorgerai! - e rise di gusto.

- No, ne sono convinto, sento un fuoco. Io mi vado a riprendere casa, tu conta i tuoi spiccioli se preferisci.

- Quell'antenna?

L'altro si era fissato già da un po' sulla sagoma slanciata di un grosso ripetitore. Nella schermata dell'elaboratore che aveva sempre davanti, si apriva una grossa finestra ogni qual volta c'erano da mettere a fuoco dettagli più lontani. Il quadro si ingrandiva a piacimento e l'immagine poteva avvicinarsi, farsi più nitida, più luminosa. Adesso gli appariva leggermente sgranata per la scarsa luce e la lontananza del soggetto.

- Credo che fosse destinata alle trasmissioni civili - disse a fine analisi. - Ma niente di più facile che sia stata riadattata a ponte radio militare.

- Funziona ancora? Ricevi qualcosa?

- Nessun segnale per ora, sto completando la scansione... un attimo.

Tutto continuava ad avvenire integralmente nella loro testa e ad essere visualizzato sulla schermata personale.

Molto probabilmente capacità e specializzazione dell'elaboratore interno variavano da individuo a individuo, e questo si traduceva in mansioni diverse che nessuno conosceva, compresi i diretti interessati, ma che ognuno svolgeva nel preciso momento in cui ce n'era bisogno, come rispondendo ad un naturale istinto.

- C'è una trasmissione, ed è su una frequenza molto insolita.

- Di che si tratta?

- Suoni... rumori, sembra un codice molto confuso, inquinato da colpi e stridori. C'è anche una voce, ma non si capisce una parola. Ci vorrà tempo per decifrare qualcosa.

- Non ti fissare solo sulla voce, non sottovalutare niente. Analizza le cadenze dei colpi e le vibrazioni armoniche. Cerca una chiave di interpretazione, qualunque sia, e registra tutto, perché fra due giorni quel ripetitore salterà.

 

4.

La giornata seguente scorse via senza intoppi, ma con lentezza inesorabile. Col loro particolare modo di procedere gli uomini riuscivano a coprire sì e no un paio di chilometri ogni 5-6 ore, e non pensare per tutto quel tempo diventava sempre più difficile.

La notte invece segnò una nuova perdita.

Mentre si accampavano nel salotto dell'appartamento di un altro ultimo piano, uno dei soldati confessò ad un compagno di non sentirsi più certo di poter restare nella squadra. Temeva di poter mettere in pericolo i compagni.

- Qual è il problema?

- Non lo so. Ho immaginato qualcosa che di sicuro non ho visto durante questi giorni, era proprio tutt'altro.

- Ricordi?

- Non posso esserne certo. Ma se c'è una sola possibilità che l'annullatore di memoria della mia postazione sul turbocopter fosse difettoso, oppure che durante la stasi l'inibitore di onde teta non abbia funzionato a dovere...

- Avresti continuato a sognare per tutto quel tempo?

- E' quello che temo. Non so se...

Un sibilo lo interruppe, lasciandogli il petto trafitto da un buco nero perfettamente circolare. A bruciapelo non esiste placca protettiva che tenga.

Il bordo interno del foro si consumò ancora un po', ardente come la punta di sigaretta, poi si spense. Rimaneva solo una piccola linea di fumo a salire nell'aria immobile, e un odore acre di carne fusa da fare schifo.

Niente più ricordi.

Sognati o reali che fossero, nessuno avrebbe mai saputo chi era quella bella ragazza, dolce, con i capelli lunghi e neri, e dove si trovasse quella casa in fondo al prato, così accogliente, calda e luminosa.

Doveva essergli sembrato tutto talmente bello da fargli sperare che non esistesse, perché allora non aveva senso continuare a sparare per fuggire, o inseguire per uccidere.

Ma ora non poteva più tormentarsi.

- Non possiamo correre rischi. - disse il freddo esecutore, un terzo soldato che aveva ascoltato tutto.

Poi, con una vena di dolce premura assolutamente stridente aggiunse: - Adesso riposa, faccio io il primo turno di guardia.

L'altro sapeva che aveva perfettamente ragione. Si accucciò, scorse velocemente i menu interni, selezionò l'induttore di sonno e lo attivò. Poi chiuse gli occhi.

Dormire senza sogni era una priorità assoluta per quei soldati, giacché l'inconscio è pronto a restituire alla luce della ragione le verità più nascoste del nostro essere. Un'immagine più manifesta di altre, più nitida, e ancora una volta il nemico, attraverso una semplice neuro-scansione, avrebbe avuto accesso ad una formidabile banca dati.

Tutto quello che la tecnologia poteva fare per cancellare la dimensione onirica, cioè controllare e azzerare le onde cerebrali di tipo teta, non era però mai stato possibile ottenerlo con le cosiddette "allucinazioni ipnagogiche".

In quella terra di nessuno che divide il sonno dalla veglia, l'oblio della mente dalla speculazione più lucida e razionale, tutto poteva succedere, ma per fortuna si trattava di una questione di pochi secondi, e poi nessuna di quelle esperienze poteva lasciare tracce permanenti nella psiche.

Era comunque un momento temuto, se non altro per le sensazioni che poteva dare lì per lì, e infatti anche quella notte, poco prima di addormentarsi, il soldato percepì qualcosa. Rivide una spiaggia e il mare increspato, il luccichio di un sole in groppa alle onde, e pregò non si sa bene chi di dimenticare tutto al risveglio, ancora una volta.

Finalmente stava per perdere coscienza, ancora pochi secondi e ce l'avrebbe fatta... il respiro dell'acqua sulla battigia... una goccia di sudore attraverso la fronte... ancora quel respiro... una voce lontana che chiama qualcuno, forse un bambino.

Il suo nome.

 

5.

Finalmente, dopo un'altra lunga giornata di faticose marce, il drappello era giunto a ridosso della centrale radio.

La struttura del ripetitore si stagliava muta e altissima contro la luce del tramonto, ma non ci sarebbe stato bisogno di farla saltare.

La squadra di quattro superstiti si era organizzata a dovere: uno aveva puntato l'ingresso principale del fabbricato, altri due stavano percorrendo da diverse centinaia di metri i locali sotterranei che sbucavano nelle cantine dell'edificio, mentre il quarto avrebbe fatto irruzione dall'esterno, da una piccola finestra del terzo piano.

A quali scopi fosse adibita adesso quell'antenna non era ancora del tutto chiaro, comunque la centrale sembrava sprovvista di qualunque difesa.

Era sicuramente tardi per chiedersi se avessero centrato il primo obiettivo della loro missione; era soprattutto inutile, visto che ormai non c'era che da portare a termine l'opera e rinviare a dopo le domande.

Nel giro di pochissimi minuti in tre si erano già ricongiunti al primo piano, i due dei sotterranei più l'uomo che in teoria avrebbe dovuto attirare su di sé tutta l'attenzione con un attacco diretto.

La centrale aveva già sostenuto diversi assalti in passato, forse aveva cambiato schieramento una mezza dozzina di volte. Notarono infatti che tutti i punti luce erano stati messi fuori uso con precisissime raffiche, e molte porte e serrature erano state fatte saltare, erano state riparate e poi ancora scardinate.

Niente però era mai stato distrutto in modo irrimediabile.

Nel frattempo anche l'incursione al terzo piano era andata liscia come le altre. Il soldato si era fermato solo un attimo per ispezionare una piccola saletta divisa in due da un grande vetro. C'erano microfoni e cuffie stereofoniche, un banco mixer e molte altre attrezzature elettroniche.

Probabilmente da quegli stessi microfoni si era parlato di crescenti tensioni fra non si sa quali schieramenti, di questioni geopolitiche ed economiche alla base di un disaccordo, di una pesante provocazione, e anche dell'inizio del conflitto che stavano ancora combattendo.

Forse là intorno c'era ancora un supporto sul quale erano state registrate quelle parole, ma sapeva che non c'era nessun buon motivo per cercarlo.

Poi la sua attenzione fu catturata da un piccolo display verdastro, un potenziometro di qualche genere ancora attivo, nient'altro che un paio di colonnine che si muovevano su e giù ritmicamente.

Alle sue spalle vide un'altra apparecchiatura a muro e due grosse bobine che giravano insieme. Quella con più nastro intorno lo faceva lentamente, l'altra scorreva più veloce.

Il soldato indossò le cuffie.

 

La squadra si riunì come previsto al secondo piano, occupato per intero da un unico grande ambiente. Qualche luce al neon tremolava incerta come se stesse per riaccendersi da un momento all'altro, ma non ci riusciva mai.

C'erano molte scrivanie, poltroncine girevoli e vecchi computer, bassi tramezzi divisori, un paio di distributori di acqua e uno di bevande calde.

Il curioso effetto stroboscopico dei neon guasti illuminava con irregolare intermittenza quella che un tempo doveva essere stata la brulicante redazione della stazione radio.

Anche lì, su quelle tastiere abbandonate, erano state sicuramente battute e dibattute migliaia di parole e centinaia di questioni inerenti alla loro guerra, ma era solo un'utopia sperare di poter riaccendere un terminale e leggere su un unico file tutta la loro misteriosa storia.

- Abbiamo visite... - notò uno che si era accostato alla finestra.

E aggiunse: - La nostra improvvisata non è passata inosservata.

- E a giudicare dalle intenzioni non sembra neanche molto gradita - disse un altro che stava già contando uomini e armamenti.

- Sembrano in tre.

Un fruscio impercettibile accarezzò il soffitto, anzi il pavimento del piano di sopra.

- Direi cinque, invece.

Erano di più.

Le pallottole già fendevano l'aria sconvolgendo il silenzio che fino a pochi secondi prima aveva accompagnato la visita della redazione, e nuovi odori, fragori e scintille spezzavano in un attimo i fili di tutti i pensieri.

Si tornava a combattere e basta, e stavolta c'era troppo poco tempo e spazio per farlo nella maniera coordinata e asciutta cui erano abituati: sembrava quasi un "tutti contro tutti".

Le munizioni diminuivano vertiginosamente, le vite anche. Qualcuno, preso quasi dal panico, tentò un diversivo inutile in altre circostanze, ma perfetto per l'occasione. Sganciò una bomba a mano dalla cintura, fece ruotare la rondella di sicurezza e lanciò nel mucchio l'ordigno.

Si trattava di un fumogeno ad alta densità, e ad espansione molecolare pressoché istantanea. La pesante cortina avvolse in pochi attimi tutta la lunga sala ed il numero ormai imprecisato dei suoi occupanti ancora in vita.

Gli uomini si ritrovarono immersi in un buio più fitto perfino delle loro coscienze. L'unica cosa che continuava ancora ad intravedersi erano i lampi dei neon, ma sembravano lontani come un temporale oltre l'ultimo orizzonte.

La nube era anche fono-assorbente, e la totale quiete che seguì sembrò dunque ancora più irreale.

Qualsiasi sensore, organico o tecnologico che fosse, era stato messo fuori causa, e anche sulla schermata dell'elaboratore interno lampeggiava un neutro avviso di "nessun segnale".

A passi piccoli tutti si preoccuparono di cambiare posizione rispetto all'ultimo rilevamento dei nemici, per non dare un punto di riferimento per un eventuale corpo a corpo. Uno dei soldati si spostò lentamente verso una delle ampie vetrate della sala, anche se era indeciso sul da farsi, se spaccare il vetro oppure no, perché non era riuscito a capire chi avesse usato il fumogeno e cosa avesse ora in mente, se era un amico o un nemico.

Istintivamente frantumò la finestra, proprio nell'attimo in cui qualcun altro faceva lo stesso all'altro capo dello stanzone. La corrente cominciò a ripulire velocemente l'aria. Il pesante fumo calò come il livello d'acqua di una vasca a cui fosse stato tolto il tappo.

Gli uomini tornarono visibili a poco a poco, dalla testa verso alla cintola, sempre con le armi in pugno.

Il "nessun segnale" lampeggiava ancora, sull'inerzia di una non piena funzionalità dei sensori. Si affidarono alla semplice vista, e nessuno stranamente ebbe il coraggio di sparare.

Come per un misterioso incantesimo il loro istinto omicida si era completamente azzerato, e non a caso era la prima volta che guardavano negli occhi il nemico, a pochi passi di distanza.

Si scrutarono centimetro per centimetro scoprendosi uguali in tantissime cose: le armi più o meno simili, il resto dell'equipaggiamento quasi identico, ma soprattutto la stessa espressione rassegnata di chi in un attimo lungo una vita ha capito tutto.

- Chissà chi erano i nostri nemici, all'inizio - ebbe il coraggio di dire qualcuno.

E chissà da quanto tempo li avevano sconfitti, senza che nessuno se ne rendesse conto, senza uno stato maggiore da informare, senza una radio come quella in cui si trovavano che trasmettesse la notizia, senza un popolo che potesse gioire, scendere in strada a festeggiare, riorganizzarsi per ricostruire.

- Abbiamo combattuto per così tanto tempo che ormai non sappiamo fare altro.

- Ho visto un turbocopter poco lontano, e scommetto che i caschi funzionano ancora.

- Li avrà riparati chi ha capito che l'oblio è l'unica cura possibile, la nostra droga. Qualcuno come noi.

- Siamo in sette, il numero minimo per una buona squadra. Non so voi, ma secondo me non ci resta che fare un altro giro.

 

Uscirono a passi lenti dalla sala, stringendo di nuovo ben forte le loro armi tra le mani.

Non uno sguardo, una parola o un cenno d'intesa, ma per la prima volta migliaia di pensieri consapevoli, nuovi, sempre più affastellati, terrificanti nella loro assurdità, e in ultimo l'unica cosa che poteva tranquillizzarli: ancora pochi minuti e avrebbero di nuovo trovato una ragione di vita, avrebbero dimenticato tutto e ricominciato da capo, nella speranza forse di imbattersi un giorno in qualcuno più preparato, più svelto, più scaltro, che li avesse freddati prima di riscoprire un'altra volta la verità.

I due che avevano individuato l'antenna radio e deciso che quello era il loro obiettivo si ritrovarono sulle scale, rompendo quella spontanea consegna del silenzio.

- Quella trasmissione... poi l'ho sentita anch'io. C'era armonia in quei suoni. Hai idea di cosa potesse essere?

- Non era un codice, non penso almeno - gli rispose l'altro, che l'aveva captata e registrata quella notte sul terrazzo.

Poi concluse: - Forse era una canzone, ma non ne ho mai ascoltate altre, quindi non posso esserne sicuro.

Intanto le note continuavano a risuonare nella sua testa.

Poteva riascoltarle quando voleva, stavolta non per analizzare spettri, dissociare frequenze e tentare una decodifica, ma solo per puro e semplice piacere.

...and he was all right, the band was all together, yes he was all right, and the song went on forever...

 

In cinque avevano già preso posto nelle gabbie ovoidali del turbocopter, indossato gli speciali caschi e programmato la sequenza di mnemo-cancellazione.

Altri due aspettavano all'esterno in copertura. Il compito più rischioso, se non altro per quel paio di minuti in più che rimanevano loro per riflettere.

Avevano sicuramente una gran voglia di scambiare quattro chiacchiere in confidenza, di sorridere insieme e di conoscersi, li assaliva perfino il dubbio che non lo avessero mai fatto con qualcuno in passato. Sapevano solo che poco prima avevano cercato di uccidersi e che forse un giorno avrebbero provato a rifarlo ancora.

- Tu ce la fai a immaginare una guerra più assurda? - chiese uno, come se sperasse di riconquistare in due miseri minuti l'umanità negatagli in quell'agghiacciante mondo senza prospettiva.

- No, più assurda non c'è n'è, amico, stai sicuro - rispose telegraficamente l'altro.

Poi anch'egli sentì l'impulso di trasmettere qualcosa, di comunicare, di condividere.

Era un pensiero che aveva coltivato durante la loro missione fantasma, quando ancora non sapeva niente, quando come in una pagina completamente bianca era riuscito a mettere in fila le prime parole scaturite dalla sua coscienza.

- Ma ne vuoi una assurda uguale? - aggiunse allora. - Una qualsiasi. Non può esserci un buon motivo per farla... ne basta una qualsiasi.

 

...and he was awfull nice, really quite paradise, and he sang all night long, long...

 

 

Fine.