Il Foglio di Fantafolio

Intervista a Gianfranco De Turris

Arrivo in ritardo, avendo scoperto il libro solo poco prima di Natale: in compenso ho faticato a trovarlo ed in libreria mi hanno detto che è già in ristampa. Direi un successo notevole per un libro così specifico. Hai dei dati?

R. Sì, posso confermarti che sostanzialmente "Le Aeronavi dei Savoia" ha esaurito la prima edizione, e questo per un libro così fuori dell'ordinario è una bella soddisfazione. Vuol dire che i lettori, appassionati di fantascienza e no, erano curiosi di conoscere quali fossero le radici di questo genere letterario in Italia. Però, più che una ristampa del libro, mi farebbe più piacere che venisse pubblicata una seconda antologia con i temi che ho dovuto scartare per mancanza di spazio: le meraviglie della medicina, i crimini scientifici, il micromondo, l'utopia, gli esseri artificiali e così via. Ti assicuro che anche qui ci sono delle scoperte molto curiose e interessanti.

Da dove l'idea? Voglio dire: è ovvio e comprensibile fare ricerca sul passato, ma questo dev'essere stato un lavoro notevole e senza dubbio ne valeva la pena, ma quale la tua motivazione?

R. Sì, il lavoro, oltre all'aiuto recente di diversi amici, è il risultato concreto di una ricerca che si è protratta, anche se non continuativamente, per molti anni. Le motivazioni sono più di una: la prima, una pura passione di bibliofilo fantascientifico: voler far conoscere agli altri i risultati di tanti anni di ricerche su bancarelle, librerie dell'usato e in cataloghi antiquari. La seconda, fare quel che nessuno aveva mai fatto in Italia: appunto una raccolta di antichi testi del tutto leggibili e godibili, e poi con quel gusto retrò così caratteristico. La terza è di sicuro la molla più importante: dimostrare, contro tutti i luoghi comuni, le frasi fatte, le rimasticazioni per sentito dire sulla nostra pretesa inferiorità in questo campo della narrativa popolare, che la protofantascienza italiana esisteva: bastava andarla a cercare. Il che era faticosissimo, nessuno o quasi l'aveva fatto, e se l'aveva fatto non era riuscito a pubblicare nulla. Ti assicuro che c'è ancora moltissimo lavoro da compiere: vale a dire controllare ancora molte testate di difficile reperimento (come sai, infatti, il contesto specifico è quello: riviste, giornali, periodici).

Protofantascienza, dal 1891 fino a 1952, mi pare uno spartiacque accettabilissimo.A parte le date, esistono differenze fra il prima ed il dopo?

R. Be' sì, differenze culturali ovviamente. Il 1952 non è soltanto la nascita di "Urania", ma anche l'inizio di una certa americanizzazione della cultura popolare, conseguente anche alla sconfitta militare e comunque facente parte della diffusione mondiale della cultura made in USA: l'arrivo in massa di narrativa "di genere" americana e inglese. Non che prima non ci fosse (è sufficiente dare un'occhiata, ad esempio, al "Romanzo mensile" del "Corriere della Sera" per rendersene conto), ma era equamente bilanciata da romanzi popolari francesi e tedeschi, spagnoli e russi: dagli anni Cinquanta i romanzi popolari (polizieschi, avventurtosi, sentimentali e adesso anche di fantascienza) sono quasi solo americani e inglesi. Questo, fa cambiare anche il gusto, e poi mette in un angolo e poi fa del tutto scomparire gli autori italiani che, sovente, sono obbligati agli pseudonimi: nei primi cinquant'anni del Novecento, invece, gli scrittori popolari erano spessissimo italiani, messi sullo sresso piano, se non addirittura preferiti, a quelli stranieri. Sicché, questa scelta tarpò le ali alle nuove generazioni di autori popolari italiani, a differenza invece di quel che avveniva in Francia e Germania.

Personalmente trovo che la "protofantascienza" in generale (ossia anche quella anglosassone non solo quella italiana) abbia un fascino particolare che gli deriva dalla assoluta ingenuità, intesa come "nobiltà": ingenuus in latino vuol dire "degno dell'uomo libero", cioé del "gentile", colui che appartiene ad una gens, è in-gens. In altre parole, libertà di forma e di intenti. Trovo tutto questo nei racconti che hai riunito. Condividi?

R. Sì condivido, ma anche in un altro senso: "ingenui" nel senso di non artificiosi, spontanei, non arzigogolati, diretti. E poi, c'è il fascino che prima definivo "retrò": mi fanno venire in mente quei cartoni amimati del cecoclovacco Zeman in cui macchine straordinarie sono presentate con l'iconografia ottocentesca, che non è quella effervescente di Robida, ma quella un po' seriosa ma divertente che vediamo nelle riviste illustrate dell'epoca, attraverso le quali noi ci immaginiamo appunto l'Ottocento. Posso aggiungere anche, che personalmente le storie dell'antologia mi piacciono perché dimostrano (e questo nessun recensore, mi pare, lo ha notato) come questi scrittori, quasi tutti sconosciuti e dimenticati, recepissero gli umori dell'epoca, le novità tecnologiche dell'epoca, le aspirazioni scientiste dell'epoca, e le travasassero nelle loro storie, attenti dunque agli umori del loro tempo, ma anche con quegli avvertimenti, con quelle nesse in guardia, con quegli ammonimenti, che a prima vista possono apparire un po' moralisti, ma che ci indicano come già allora si fosse intuito quali dovessero essere i limiti della scienza e della tecnica. Forse erano allarmi un po' moralistici, ripeto, ma molto umani, quella umanità, quella umiltà, che noi oggi non conosciamo più.

Hai parlato dei recensori, ma come è stato accolto il libro nel fandom? E fuori?

R. Sono sincero: da quando il fandom si è quasi del tutto rifugiato su Internet lo seguo poco, ma non per idiosincrasia preconcetta nei confronti del mezzo, anche se, come è noto, non lo amo molto per i danni che produce ai libri e all'attivita intellettuale in genere, ma solo perché non ho il tempo materiale per stare ore seduto davanti ad uno schermo (tra l'altro ci rimettono anche gli occhi). Quindi, non so come è stato esattamente accolto dai fans.

Ma almeno quella di Valla su "Urania" l'avrai vista?

R. Sì, perché "Urania" la compro per mania di vecchio appassionato e di collezionista, non perché abbia più tempo per leggerla. Riccardo, è sostanzialmente d'accordo con la mia spiegazione: in Italia nei primi 50 anni del secolo c'è stata una produzione di letteratura avveniristico-scientifica non inferiore come qualità rispetto a quella anglo-americana: non si è sviluppata da noi solo per motivi legati alla struttura del mercato editoriale. Era abbastanza diffusa sulle riviste popolari italiane dell'epoca (nella mia antologia ne ho presentato un ampio florilegio su vari livelli) e non era considerata un qualcosa di "inferiore", però non ebbe mai una rivista specializzata come fu dal 1926 "Amazing Stories". In più Valla sottolinea un aspetto peraltro noto: che questo primato di Hugo Gernsback non fu solo per la rivista in sé e per aver inventato il termime "science fiction" nel '29, ma per aver sollecitato gli scrittori ad approfondire delle "profezie scientifiche": il che creò la fantascienza come la conosciamo oggi. Se è per questo,allora si potrebbe anche aggiungere il nuovo impulso che diede al genere John Campbell quando divenne direttore di "Astounding" e "Unknown".

E la stampa in genere, questa l'avrai seguita, no?

R. Certo, perché è anche il mio mestiere. Ebbene, devo dire che nessun libro da me scritto o curato ha avuto tanta eco sui più importanti quotidiani, dal "Corriere della Sera" a "Il Foglio", da "Il Messaggero" a "il Giornale", da "Avvenire" a "Libero" , e soprattutto giudizi unanimemente positivi. Questo è forse anche il motivo per cui in sette mesi si è esaurito.

Per la verità alcune critiche le ho lette.

R. Certo, ma marginali e in sostanza poco fondate o poco centrate. Nessuna ha inciso peraltro nella valutazione positiva generale. Ad esempio, Carlo Formenti sul "Corriere della Sera" è del parere che non abbia dato una spiegazione esaustiva del perché in Italia non sia decollata una produzione specializzata ed aggiunge che ciò potrebbe derivare soprattutto dal fatto che nei paesi anglosassoni il protestantesimo "ha proiettato sulla scienza e sulla tecnica crescenti aspettative escatologiche fino ad elevarle al rango di una religione che ha trovato espressione letteraria nella fantascienza. La nostra tradizione cattolica, al contrario, non è mai stata tenera nei confronti della hybris scientifica". Osservazione di certo molto acuta e da prendere in considerazione, aggiungendo un ulteriore tassello alla spiegazione più generale (quella del mercato editoriale), ma non la inficia. Infatti, si può rispondere che da un lato nell'Inghilterra protestante non sorse alcuna rivista se non nel secondo dopoguerra a differenza di quel che avvenne negli USA, tanto è vero che gli scrittori specializzati inglesi pubblicavano sulle riviste americane, mentre in Italia vi fu una vasta corrente di scienziati positivisti e darwiniani non di poco conto, un eco del cui pensiero si trova anche (pur se minoritario) nelle storie da me antologizzate. Sono state le testate specialistiche a creare quel circuito editore-scrittore-lettore che ha fatto nascere la vera fantascienza.

Anche Domenico Gallo su "Pulp" si pone l'interrogativo religioso.

R. Curiosa recensione, devo dire, quella di Gallo che del mio lavoro parla benissimo (del che lo ringrazio), ma che poi si sente in dovere di aggiungere un "in questa occasione intelligente curatore". Il che mi fa pensare che nei precedenti trent'anni della mia attività sia stato un curatore deficiente o demenziale, almemo per lui... Sono contento di aver finalmente raggiunto l'età della ragione alla mia non più tenera età. C'è sempre qualcosa da imparare nella vita: ho un grande avvenire di fronte a me se continuerò in questa direzione. Ho però il timore che quella frase abbia alle spalle un pregiudizio non letterario-fantascientifico ma ideologico-politico, e che per Gallo la mia non-intelligenza sia da intendersi su quel versante. Se è così, correrò il grave rischio di deluderlo ancora.

Comunque, quella cui ti riferisci è' una sua ipotesi, se cioè "l'influenza della cultura cattolica, in Italia più forte che altrove, possa avere in qualche modo costituito quell'elemento specifico capace di determinare il progressivo indebolimento dell'immaginario che in molti oggi constatiamo".

R. Da parte mia non credo più di tanto: nel senso che sono esistiti romanzi di protofantascienza pubblicati da edtiori esplicitamente cattolici ed era una narrativa per così dire con intenti moralistici e religiosi, ma era pur sempre protofantascienza. In seguito, a partire dagli anni Cinquanta forse ci può essere stata una autocensura da parte di qualche scrittore che non ha affrontato temi delicati o scabrosi, ma che di certo non ha evitato di scrivere vera fantascienza per pregiudizi religiosi. Non mi pare che sia esistito un boicottaggio esplicito del genere. Considerando anche che il lato propriamente "scientifico" della nostra fantascienza è sempre stato in secondo piano, probabilmente, come spesso è stato scritto, per la nostra tradizione umanistica più che per quella cattolica.

Anche il nostro comune buon amico Sergio Valzania ha trovato qualcosa da dire...

R. Sì, nella sua approfondita recensione su "Il Giornale" ha in sostanza detto che "la fantascienza esiste solo in quanto è consapevole di sé, non si dà genere senza forme e rituali propri. Altrimenti ogni scritto si diluisce nella narrativa". Insomma, avrei tenuto troppo conto dei "contenuti". E' un'osservazione che si morde la coda: la fantascienza esiste quando si ritiene tale; ma se esiste e non sa di essere tale? E infatti ho parlato volutamente di "protofantascienza", una fantascienza primordiale e inconsapevole di esserlo, senza "forme e rituali propri" venuti dopo, a partire dal '52. Esistono i contenuti, gli argomenti, tutti i cliché narrativi, i vari filoni, ma nessuno ne ha tirato le fila e le ha dato in Italia un nome specifico come negli USA: appunto. Torniamo sempre al problema editoriale: se qualcuno negli anni Venti avesse pubblicato una rivista intitolata puramente e semplicemente "Avventure sensazionali" o "Storie straordinarie" (come erano non solo le testate delle riviste americane, ma anche le rubriche in cui veniva inserito questo tipo di racconti sulle varie riviste popolari italiane), le cose sarebbero andate diversamente: e lo stesso sarebbe avvenuto se Armando Silvestri fosse riuscito a pubblicare alla fine degli anni Trenta quelle "Avventure dello spazio" che voleva affiancare alle "Avventure del cielo" che effettivamente curò fra il 1939 e il 1941 a imitazione del "pulps" statunitensi.