Il Foglio di Fantafolio

 

 

Il mostruoso uomo delle nevi: Val Guest sbarca in America, anzi…

di Riccardo Rosati

 

Che mi piace il lavoro di Val Guest, credo che anche i più distratti se ne siano accorti. E mi piace così tanto che lo vado a "pescare" perfino in America; anzi più precisamente su monti dello Himalaya in Tibet. Proprio in vigore di questa passione per il lavoro del suddetto regista, mi permetto di parlare di un film non-fantascientifico, ma solo con un lieve tema fantastico. Sto parlando di una pellicola di grande fascino e spessore umano Il mostruoso uomo delle nevi (tit. or. The Abominable Snowman of the Himalayas, 1957). Prima, ho accennato all'America. Infatti, il regista in questione, benché sia uno dei paladini della casa di produzione britannica Hammer, per questa pellicola ha lavorato per dei produttori americani.

Ma chi è Val Guest? Val Guest nasce a Londra nel lontano 1911. Lavora dapprima come giornalista e, poi, si dedica per un breve periodo alla recitazione. Il suo esordio nel mondo del cinema non è, però, come regista, bensì come sceneggiatore. Scriverà commedie per Will Hay & The Crazy Gang. Il suo debutto dietro la macchina da presa lo fa con Miss London Limited (1943). La fama, comunque, Guest la ottiene con i primi due film sullo scienziato Bernard Quatermass (L'astronave atomica del dott. Quatermass, 1955 e Quatermass e i vampiri della spazio, 1957); queste ultime sono due vere gemme della Sf cinematografica. In ogni modo, la maggior parte dei suoi lavori sono commedie. Questo spiega la grande bravura del regista nella caratterizzazione dei personaggi, cosa che rende uniche le due pellicole già citate. Difatti, ciò che appassiona lo spettatore durante la visione dei due episodi di Quatermass diretti da Val Guest è proprio il carattere unico del suddetto scienziato. Sì, è vero che il bravissimo Brian Donlevy (che interpreta Quatermass nei primi due episodi della serie) fa ottimamente il suo lavoro. Comunque, non si può negare che si percepisce come dietro il tutto ci sia un regista che non pensa solo a quanti alieni deve "piazzare" sulla schermo per stupire lo spettatore, ma anche, e soprattutto, a cosa far dire e come far muovere i protagonisti dei suoi film sul set.

Veniamo a Il mostruoso uomo delle nevi. Ci troviamo davanti a un'opera, a mio parere, importante per svariati motivi. Per prima cosa, il messaggio in essa contenuto. Il film altro non è che un'accorata denuncia della nostra società, la quale è ormai destinata all'estinzione. La razza umana è impotente di fronte alla strapotere della natura, qui rappresentata dalle montagne, dal freddo glaciale dello Himalaya e dallo yeti stesso. L'unica possibilità di scampo che ci rimane risiede nella presa di coscienza della nostra fragilità. L'uomo ha due possibilità: continuare il suo nevrotico sviluppo economico industriale e arrivare ad auto-estinguersi, oppure cambiare strada e rendersi conto degli sbagli compiuti. Questo dualismo è rappresentato dai due protagonisti. Il pacifico Dr. Rollanson (un bravo Peter Cushing) da una parte e il "trafficchino" di turno, Tom Friend (un ottimo e spigoloso Forrest Tucker); il quale non vede altro che un possibile guadagno dietro la scoperta dell'esistenza del mitico yeti. Qui viene fuori una cosa interessante, ovvero che a differenza del personaggio di Quatermass, Val Guest e Nigel Kneale (la storia e sua e sono sempre sue tutte le trame dei film e della serie Tv di Quatermass) creano uno scienziato, il dott. Rollanson, umano, saggio e non accecato dalla scoperta scientifica. Quest'ultima, al contrario, è sempre stata l'ossessione del personaggio di Quartemass. È vero che Rollanson decide di seguire il losco Tom Friend, perché è rapito dall'idea di trovare uno yeti, ma è anche vero che lui è il solo di tutta la spedizione a rendersi conto dell'insensatezza dell'impresa e della così detta "società civile". Tale presa di posizione gli permetterà di essere l'unico sopravvissuto alla tragica spedizione. Difatti, uno dopo l'altro moriranno tutti i suoi compagni; questi ultimi colpevoli di non aver compreso in tempo che non sarebbero dovuti esseri lì.

Dunque, il film di Guest come monito alla, allora nascente e oggi "matura", società della globalizzazione? Personalmente, sento di condividere questa idea. Il mostruoso uomo delle nevi è un film sano, con un messaggio chiaro. La storia non lascia lo spettatore con dubbi di sorta, anzi, il messaggio pacifista e forse perfino troppo palese. La pellicola in questione non è un capolavoro, ma ha i suoi pregi. Per esempio, in essa si trova una delle prime location ambientate in Tibet. In oltre, è anche uno dei primi film ad aver toccato la tematica buddhista, vista attraverso gli occhi di un gruppo di occidentali. Perciò, un plauso all'accoppiata Guest-Kneale che sono arrivati molto prima de Il piccolo Buddha, Kundun e Sette anni in Tibet. Sfortunatamente per loro, nel '57 il Buddhismo non suscitava tutto l'interesse di oggi. C'è da dire però, che il tutto è narrato in modo un po' approssimativo e ingenuo. Si tenta di catturare l'attenzione dello spettatore, mostrandogli un monastero che sembra celare arcani segreti e i monaci assomigliano più a degli stregoni, che a dei pacifici sacerdoti alla ricerca dell'illuminazione. Il Lhama stesso (Arnold Marle) è una figura davvero inquietante. Oltre tutto, l'attore che lo interpreta mostra una folta chioma bianca. Non so quanto questo sia possibile per un monaco buddhista, ma temo che gli autori non abbiano fatto un enorme lavoro di ricerca prima di iniziare le riprese.

In poche parole, il film, malgrado la quasi totale assenza di spettacolarità (credo che sia costato veramente pochissimo) e la presenza di diversi svarioni per quanto riguarda la religione buddhista, mi è piaciuto molto. Trovo che sia un bel esempio di film politically correct. Il quale, però, non tenta di "convincere" il pubblico, ma solo di mostrargli le uniche due alternative possibili che restano all'uomo: quella cinica e speculativa del trafficante o quella più difficile della presa di coscienza dei limiti della razza umana. Se poi, i monaci sembrano tutto meno che asceti e il Lhama ha più capelli di me, credo che ciò si possa "perdonare" agli autori.

Restano comunque da aggiungere due cose. Primo, la grande duttilità di Val Guest nel saper passare da un genere cinematografico all'altro: nello stesso anno (1957) gira anche il secondo episodio di Quatermass. Secondo, il fatto che, oggi, in piena era "no-global", Il mostruoso uomo delle nevi è un esempio di come sia possibile Protestare (P maiuscola) usando il potentissimo potere della settima arte (il cinema in poche parole). Peccato, però, che film così non se facciano più!