Il Foglio di Fantafolio

Il Kosmoteoros

1) Il Kosmoteoros (1698, postumo) non è un'opera di occasione che l'astronomo avrebbe scritto nei ritagli di tempo, tra la redazione di un'opera "seria" e l'altra. Si tratta bensì di un importante lavoro di sintesi filosofica delle conoscenze in materia di cosmologia e di una summa di "congetture verosimili" ricavabili dai dati osservativi e dalle teorie fisiche già a disposizione dello scienziato. Il testo di Huygens rappresenta per dir così, l'atto autofondatore dell'astronomia in quanto scienza o, per dirla con una formula hegeliana, ne rappresenta il momento autocosciente.

2) Huygens, infatti, oppone coscientemente i dati scientifici, - quelle che chiama "congetture verosimili", ossia costruzioni esplicative create a lume di ragione e proprie dell'Astronomia da cui si possono ricavare leggi (nomoi) certe e uniformi, valide cioè in ogni parte del cosmo o, ancora, universali e necessarie -, alle "favole" dell'Astrologia che fonda i propri racconti o discorsi (logoi) su invenzioni, analogie poetiche o ipotesi ad hoc intorno alla natura e all'azione degli astri. L'Astrologia e' il primo retaggio culturale di un passato antropocentrico e antropomorfico di cui Huygens intende sbarazzarsi. La prima parte della sua opera è dedicata alle congetture, la seconda e' più specificamente centrata intorno alle materie astronomiche e ai dati scientifici.

3) Sulla base di questa distinzione/opposizione - di capitale importanza nella storia della scienza e della cultura europee - Huygens intraprende a dimostrare, nel primo libro, una congettura verosimile, affermando che anche gli altri pianeti del nostro sistema-mondo sono abitati. Il procedimento e' analogo a quello incontrato in altri autori già analizzati. Si parte dall'analogia Terra/Luna, passando per quella Luna/pianeti, Terra/pianeti e si arriva infine all'analogia Sole/stelle fisse. A questo proposito, H. sa bene d'inserirsi in una tradizione di pensiero (Bruno, Keplero, Campanella) che e' stata rafforzata e confermata dal successo dell'ipotesi copernicana e dalle conseguenti osservazioni astronomiche. Sua ferma intenzione e' comunque quella di abbandonare le fabulae del passato ed affidarsi alla sola guida della ragione osservativa e congetturante. Il breve excursus dossografico, in cui vengono passati in rassegna i filosofi precedenti, tace significativamente riguardo al Somnium di Keplero, il quale appunto si sarebbe troppo lasciato trascinare dalla vena platonizzante della fabula .

4) L'impostazione metodica del lavoro è dunque diversa dagli Entretiens di Fontenelle, che nascondevano abilmente e con prudenza possibili predecessori scomodi. H. dichiara apertamente quali sono le sue fonti e affronta i "padri" senza temere di mostrarsi vicino o lontano a loro. L'ambiente culturale più libero in cui H. Opera, l'Olanda, consente questa differenza di stile espositivo.
H. si rivolge contro le possibili obiezioni di due generi di interlocutori:

a) gli ignoranti che non conoscono la matematica ne' la nuova astronomia ( ma di questi non ci si deve preoccupare troppo);

b) i difensori dell'ortodossia religiosa e coloro che temono la cattiva influenza su di essa delle nuove idee cosmologiche.

A questi ultimi H. si rivolge esortandoli ad abbandonare il punto di vista antropocentrico e a pensare, tutt'al contrario, che una parte del creato cosi' grande, posta al di la' della portata dei nostri strumenti d'osservazione, naturali e artificiali, può spingerci a congetturare che essa esista affinché anche qualcun altro oltre noi terrestri la veda e la ammiri, un altro kosmoteoros appunto. E la curiosità dell'uomo lo spinge a cercare sempre nuovi sguardi, punti di vista sulle cose e sugli stesi uomini, come e' accaduto ad es. con la scoperta dell'America. questa facoltà, gli e' stata data per investigare la natura. Le congetture verosimili, e infine la verosimiglianza di cui fa uso la curiosità razionale, sono lo strumento principe della fisica, nel costruire le sue teorie.

5) La dimostrazione dell'esistenza di abitanti extraterrestri, ovvero di esseri dotati di ragione, e' marcata da un tono apertamente apologetico. La passeggiata nel cosmo serve a dimostrare che tali meraviglie le quali offrono uno spettacolo (theoria) impareggiabile, non possono essere nate dal caso ne dall'incontro fortuito di materia atomica in movimento, ma dal volere di un Creatore. H. segue un ragionamento antiantropocentrico volto dunque a sottolineare la relatività spaziale della nostra posizione di kosmotheoroi, "spettatori del cosmo". Non possiamo noi terrestri ritenerci soli spectatores al centro dell'universo (e Huygens intende il termine universum in senso contemporaneo) in quanto anche un altro, ipotetico spettatore del cosmo potrebbe a ragione (o a torto, dal punto di vista della nuova scienza astronomica) avanzare la stessa pretesa.

6) Dalla già vista analogia Terra/Pianeti, corroborata dalle osservazioni astronomiche, si può dunque ipotizzare che essi ospitino piante e animali, è un altro argomento contrario alle tesi materialiste di Democrito e meccanicistiche di Cartesio. H. solleva qui un obiezione al materialismo che troverà risposta solo più di un secolo dopo: il finalismo riscontrabile nel mondo organico, la complessità del mondo vivente non può essere spiegata con le sole leggi del moto e della materia. Bisogna dunque postulare al riguardo l'opera di un Autore intelligente. Il percorso argomentativo di H. segue un andamento inverso a quello che ci aspetteremmo, va dal complesso al semplice. Ciò per sottolineare la completezza dell'analogia Terra/pianeti. Ci sono animali, esseri organici complessi che abitano gli altri mondi, dunque ci devono essere anche le piante e l'acqua, giù fino agli elementi più semplici. H. qui cade in quel circolo vizioso del finalismo che abbiamo osservato anche in altri autori: da un lato c'è una scala assiologica assoluta di valori che fanno del vivente e, in primis, del razionale, qualcosa di più alto del non vivente e di rilevante sopra ogni altra cosa nell'universo; dall'altro lato s'intende negare validità all'antropocentrismo, tendenza connaturata all'idea nuova di uniformità del cosmo e delle sue leggi

7) Per quanto concerne il carattere degli extraterrestri, H. mantiene fermo il presupposto dell'uniformità della natura e delle sue leggi. Gli abitanti dei pianeti non possono essere troppo diversi da quelli del nostro, in quanto Dio si e' comportato qui come nel caso degli abitanti delle Americhe, avrebbe potuto creare specie del tutto differenti, ma è palese che non l'ha fatto. Anche qui mutano i connotati propri della divinità, e l'infinita varietà di vita che Dio può produrre, non costituisce per se' un argomento apologetico. Anzi, Dio può essersi limitato a fare cose con una dose di uniformità nelle sue azioni che non lede affatto la sua maestà e dignità. A proposito delle specie viventi H. definisce un chiaro scarto teologico tra il possibile e il reale:

- "Dunque, il loro autore, per ciò che concerne le cose create, non ha mostrato tutte le varietà che poteva e né da quell'argomento, che con lo studio della natura si aspira a rinnovare, gli deve essere attribuito tanto, al punto da ritenere assolutamente alieno, diverso, tutto ciò che si trova negli altri pianeti, cui egli ha provveduto a creare, rispetto a ciò che si trova sulla nostra terra" [ Del Prete, p. 295] .

- H. applica qui un principio importante della scienza moderna, quello dell'economia ed uniformità delle leggi della natura che contesta lo schema classico, iniziato con la lettura di A.O. Lovejoy (The Great Chain of Being), della pluralità dei mondi legata all'affermazione di un principio di pienezza: non essendoci limiti all'attuazione della potenza infinita di Dio tutti i possibili devono realizzarsi. Questo concetto vale per il Cameracœnsis Acrotismus di Bruno certo, ma non per il Kosmoteoros di H. Negli altri pianeti non si può manifestare una varietà di creature del tutto infinita, perché ciò non permetterebbe di riconoscere che le leggi della natura sono delle strutture fisse e ricorrenti, le stesse in ogni angolo dell'universo. Dunque, anticartesianamente, H. afferma che pur nell'esplicazione della sua infinita potenza Dio non realizza tutti i possibili ma segue delle precise, complesse regole.

Tornando agli extraterresti, ci sono due ragioni per affermarne l'esistenza:

a) l'esigenza di non privilegiare la Terra, come sede di esseri razionali;

b) una variante del tema dell' "a che" quelle immense distese deserte di spazio cosmico? Argomento finalistico fatto giocare in senso antiantropocentrico: anche quegli astri lontani devono avere dei théoroi capaci di apprezzarne le bellezze. Secondo H. questi "spettatori" devono anche aver elaborato dei principi morali e scientifici simili ai nostri. L'affermazione è emessa in virtù del principio di uniformità e universalità delle leggi della natura: come quelle della consequezialità logica e della matematica anche le leggi e i principi del vero e del bene devono essere uniformi e identici ovunque. H. afferma quindi che gli extraterresti avranno raggiunto un livello di sviluppo scientifico simile al nostro e saranno anch'essi dei buoni astronomi kosmothéoroi. Sono infine dotati di mani e piedi e devono vivere come noi in società organizzate. Dopo questa lunga descrizione H. ha il coraggio di concluderne che non possono tuttavia essere considerati come dei veri e propri uomini. E ciò perché secondo lui i principi logici e razionali su cui si basano le sue congetture non sono antropomorfici. Per questo H. sottolinea la possibilità che si diano delle differenze, da noi non del tutto immaginabili:

- "Infatti, la varietà con cui possiamo concepire nell'animo le forme dei possibili è in certo qual modo infinita, per cui [ gli extraterrestri] possono sia differire in talune parti del loro corpo rispetto al nostro, sia nell'economia di tutte le cose interne ed esterne" [ Del Prete, p. 297] .

- Per questo, gli abitanti di altri pianeti potrebbero anche vivere in un mondo migliore del nostro (contra Leibniz), senza guerre né assassini, ne immoralità.

8) Huygens non aderisce finalmente alla tesi bruniana dell'universo infinito ma assume una posizione prudente simile a quella di Galileo. Non si pronuncia positivamente e sospende il giudizio. Afferma tuttavia che lo spazio si estenderebbe senza limiti al di la delle frontiere che i nostri strumenti d'osservazione ci aprono. Le sue congetture sulla pluralità dei mondi, nel secondo libro, vengono quindi fondate astronomicamente per opposizione con gli argomenti "estranei alla ragione" del gesuita A. Kircher. La prima accusa è quella di aver seguito le fabulæ dell'astrologia, di aver reinserito nella cosmologia le intelligenze angeliche come motori degli astri, di esser rimasto fedele al geocentrismo nella sua versione tichoniana, anche se ci sono nell'Iter estaticum delle giuste intuizioni quanto alle immense dimensioni dell'universo. Il procedimento del gesuita è diametralmente opposto, per dimostrare l'inesistenza di abitanti sugli altri pianeti: non ci sono uomini, dunque niente animali, piante ecc. Kircher fa uso della vecchia dottrina aristotelica dei luoghi naturali per dimostrarlo: i pianti sono costituiti dagli stessi elementi (come non si può più negare in seguito alle osservazioni astronomiche) però essendo collocati in altri luoghi dell'universo sono soggetti ad altri influssi astrali che ne modificano la sostanza e ne alterano gli accidenti. Infine, l'argomento antropologico-finalistico: il cosmo è creato per l'uomo, quand'anche ci fossero quegli abitanti extraterrestri sarebbero tanto diversi da noi, da apparire dei mostri, come gli abitanti extraeuropei del nuovo mondo. Ecco ben fondata qui una dottrina proto-razzista dell'europeità come modello d'umanità piena.

9) Vi sono anche alcune affinità tra i due pensatori, a proposito della concezione che hanno intorno alla natura del Sole, che è una stella simile alle altre visibili in cielo, che hanno anch'esse un corteo di pianeti che le seguono, senza formare una "sfera" delle fisse. Kircher è un altro esempio di quelle commistioni di vecchio e nuovo che formano l'abito di Arlecchino della nuova scienza e della nuova visione del mondo che l'accompagna. La Terra per H. conserva un solo punto di vantaggio (non un privilegio vero e proprio); la sua posizione permette di osservare tutti i pianeti che gravitano intorno al Sole mentre questi non lo possono. Come K. H. non è un infinitista ma uno "scettico metodico" alla Galilei: nulla vieta di pensare che al di là della regione visibile occupata dalle stelle vi possa essere altro mondo e altre "cose" a noi ignote:

- "Ciò appare evidente, che lo spazio della totalità della natura si estende infinitamente da ogni lato; e nulla vieta, perciò, che Dio abbia creato al di là della regione delle stelle conosciuta, altre innumerevoli cose, distese immense e luoghi lontani dalle nostre congetture" [ del Prete, p. 300] .

Il gesuita Kircher invece adotta una posizione di tipo cusaniano, distinguendo tra un infinto assoluto proprio di Dio e un infinito relativo, contratto, proprio dell'universo che non è propriamente un infinito ma un maximum che sfugge alla nostra determinazione. I suoi limiti sono quelli posti alla stessa natura della materia che è sempre finita occupando un luogo. E ciò esclude anche che Dio abbia creato innumerevoli mondi anche se la sua potenza glielo permetteva. Al di là del cielo stellato s'estende per Kircher l'Empireo, spazio corporeo ma composto di pura luce; e oltre di esso, in spazi vuoti infiniti, c'è solo la sostanza divina, come nelle visioni di Palingenio e Patrizi:

- "Perciò ne consegue che il mondo sussiste non nel nulla, nel vuoto, ma in Dio; dunque immaginando quello spazio fuori del mondo per quanto è concepibile con l'immaginazione, è necessario che lo si concepisca non come nulla, vuoto, ma come la distesa pienezza che si estende all'infinito della sostanza divina; colui il quale infatti compì e creò tutte le cose, quella stessa e sua propria pienezza in se stesso raccoglie, afferra, trascina, porta, cinge, contiene e conserva" [ Del Prete, p. 300-301] .

Il Kosmotheoros si conclude con delle osservazioni anticartesiane che fanno tesoro della lezione di Newton, accettando le leggi della gravitazione universale pur conservando un riferimento alla teoria cartesiana dei vortici, emendata di quello che la Del Prete chiama efficacemente il "cannibalismo stellare", ossia la distruzione o l'assorbimento di un vortice nell'altro.

10). La pluralità dei mondi e l'infinità della materia nella letteratura clandestina. Problemi generali

* Vanno chiariti preliminarmente i concetti di a) "letteratura clandestina" e b) di "manoscritto filosofico clandestino".

a) Per "letteratura filosofica clandestina" dell'età classica (secoli XVII e XVIII) si deve intendere un corpus molto vario ed eterogeneo di testi, manoscritti e a stampa, sottoposti a censura o che non avendo ricevuto il privilegio reale e l'imprimatur del censore sono circolati in forma anonima, fuori dai consueti circuiti librari. Molti dei testi a stampa, ad es. portavano un falso luogo di pubblicazione o una data fittizia, o erano editi, nel caso, sotto pseudonimo. Il contenuto di questi testi era in larga misura di carattere eterodosso, coprendo un largo ventaglio di posizioni, dal deismo moderato che attaccava i soli dogmi e apparati istituzionali delle religioni rivelate (in nome di un'unica, comune "religione naturale"), all'ateismo radicale e anticlericale, fino agli scritti erotici e pornografici. È dunque difficile dare una caratterizzazione unitaria a questo corpus che non sia quella, generica ma sicura, di scritti eterodossi. All'interno di questi si tratterà di analizzare quali sono le formulazioni significative in ordine al duplice problema della pluralità dei mondi e dell'infinità dell'universo.

b) Il "manoscritto filosofico clandestino è il tipico modello di "testo" eterodosso che costituisce quel corpus della letteratura circolante sotto banco, nel circuito diremmo oggi del consumo privato. Il manoscritto clandestino presenta diverse caratteristiche salienti: 1/ è un testo "aperto", nel senso che si conoscono varie redazioni di uno stesso titolo, ognuna delle quali aggiunge o toglie qualcosa alla redazione precedente la quale serve da fonte. La procedura è quella della copia manoscritta a partire da un'altra copia o, in alcuni casi, da un esemplare a stampa (equivalente dell'attuale pratica delle "fotocopie"). 2/ Generalmente queste redazioni venivano stese per uso personale del lettore, il quale così diveniva anch'egli, in certa misura, autore, aggiungendo note, arricchendo il testo di commenti, integrandoli talora nel corpo stesso del testo originale. Un esempio è il manoscritto dell'Examen de la religion di cui si conoscono diverse decine di esemplari manoscritti riconducibili a più "famiglie".

- Gli argomenti principali di questi testi sono di carattere teologico-dogmatico, con intenti più o meno radicalmente antireligiosi. Il pensiero scientifico degli autori resta in secondo piano o viene esposto per lo più en passant. Anzi, un certo disinteresse per le problematiche scientifiche sembra caratterizzare queste opere che mostrano in certi casi di aderire a prospettive cosmologiche abbastanza arretrate rispetto all'evoluzione del pensiero scientifico del tempo, o di trascurare i dati delle osservazioni astronomiche. Gli autori vi fanno ricorso a procedimenti discorsivi non analitici ma di tipo piuttosto analogico o metaforico, richiamandosi poco alla regolarità meccanica delle leggi del moto.

- Per quanto concerne la problematica della pluralità dei mondi, osserviamo subito che essa sparisce dal contesto di questi scritti per un motivo molto semplice: il tema era diventato oggetto della pubblicistica apologetica che fa del motivo dell'immensità (non l'infinità) del cosmo un argomento di lode dell'onnipotenza del Creatore (Salmo IX: cœli enarrant gloriam suam…). Quest'argomento a valenza apologetica si rafforza in seguito all'affermazione, durante il Settecento, della cosmologia newtoniana (il dio "grande Architetto" del mondo). Un esempio di questo scivolamento lo troviamo nella stessa letteratura clandestina, quando l'autore del Jordanus Brunus redivivus afferma che "se c'è un sistema che faccia onore alla Divinità, è quello della pluralità dei mondi" [ Del Prete, p. 303] o nel momento in cui ricorre la stessa tesi della pluralità dei mondi in funzione dell'affermazione del dio-architetto, nel manoscritto Infaillibilité du jugement humain, sa dignité et son excellence.

- La portata eversiva della tesi della pluralità dei mondi viene quindi riaffermata solo nel momento in cui alcuni manoscritti ne tentano la saldatura con la tesi dell'infinità dell'universo. Ed è su questo piano di connubio delle due prospettive che si gioca (e si conclude) la partita finale tra i sostenitori delle due tesi, che tendono sempre più a fondersi, diventando in pieno Settecento un'unica e medesima prospettiva cosmologica inquadrabile sotto il segno di un processo di cui dà atto il titolo stesso di uno dei manoscritti più importanti: il Jordanus Brunus Redivivus. E un ritorno in forze, generalmente vittorioso, delle tesi infinitiste di Giordano Bruno di cui gli autori di testi clandestini si ritengono, sotto molti riguardi, gli ultimi, agguerriti eredi.

"The most human of Huygens' works"