Il Foglio di Fantafolio

Fantascienza impura: linguaggi e temi meticci nell'immaginario di domani

di Nicoletta Vallorani

tratto da Le fantasie della scienza (http://www.nigralatebra.it/archivio/file14/fantasie.htm)

Questa vignetta introduce un aspetto tipico della fantascienza di oggi, ricordandoci che non è soltanto la fiction a imitare la realtà ma, molto più spesso la realtà politica di oggi a imitare l'immaginario più grottesco, contaminato e meticcio. Qualche anno fa, Vonnegut, in Discorso alla Conferenza del PEN, un saggio della raccolta Divina Idiozia (2000), scrisse questa considerazione: "I politici che fanno cose simili agli scrittori di fiction dovrebbero prendere a esempio l'esperienza americana e capire che il loro comportamento non solo è crudele. E' anche paradossalmente ridicolo. La fiction è inoffensiva. La fiction non è nient'altro che aria fritta".

Una vita politica che si trasforma in aria fritta può essere davvero molto pericolosa, mentre invece il meticciato, l'ibridazione, nella fantascienza degli anni recenti ha dato risultati che io considero estremamente positivi, e dunque opposti a quelli che constatiamo nel nostro mondo reale.

Il meticciato nella fantascienza è inevitabile - anche se la critica ne è stata scarsamente consapevole - iscritto nel suo stesso atto di nascita, nel corpo di un mostro creato dal bisturi di un medico e descritto dalla penna di una donna (cfr. Shelley, 1999); la fantascienza è stata partorita da un matrimonio misto, la contaminazione tra scienza e narrativa, che ne è l'assunto di base: il scientific romance tardo-ottocentesco di Wells è l'antenato più accreditato della fantascienza più recente. Questa ibridazione prende forma nel periodo nel quale le tesi darwiniane vengo presentate e divulgate, un periodo in cui scienza e letteratura occupano territori estremamente vicini nell'immaginario e la letteratura condivide tanti miti tradizionali della scienza; per molti anni scienza e letteratura sembrano parlare il medesimo linguaggio.

Proprio dal punto di vista della contaminazione dei linguaggi, Wells opera in maniera interessante. Con alle spalle una formazione scientifica ma impossibilitato, per motivi di salute, a continuare una carriera di scienziato, Wells comincia a leggere molto e a desiderare di scrivere fiction. Nel frattempo diventa insegnante di biologia, scrive un libro di testo e soprattutto saggi divulgativi sul darwinismo. Nei suoi romanzi Wells ricicla molto spesso brani di saggi che ha pubblicato su riviste scientifiche; ad esempio alcuni brani de L'isola del dottor Moreau (1991), attribuiti appunto a Moreau, sono citazioni letterali di saggi riguardanti possibili esperimenti di accelerazione del processo evolutivo. Questo procedimento dimostra chiaramente che, all'epoca, la fusione tra letteratura e scienza è molto radicata anche nella percezione del pubblico e, in secondo luogo, che l'immaginario e il linguaggio della fantascienza nascono da un processo di contaminazione e sono efficaci nella misura in cui riescono a trasformare questa contaminazione in un linguaggio [forma] appetibile per i lettori.

L'altra caratteristica importante che emerge dalle opere di Wells è che, a monte di questo meticciato linguistico, c'è l'esigenza di essere popular; questo spirito divulgativo della scienza e di Wells funzionerà alternativamente come vantaggio o come ipoteca fino ai giorni nostri: ancora oggi molti scrittori di fantascienza si vergognano di essere definiti tali, perché la fantascienza, in Italia più che altrove, viene considerata una lettura da treno.

L'importanza della scienza resta comunque un filo rosso nell'evoluzione della fantascienza. Potremmo tracciarne il percorso cominciando da Aldous Huxley, che ha con Wells una sorta di parentela biografica, sia in quanto nipote di Thomas Huxley, maestro di Wells, sia perché, abbandonata la carriera di chirurgo a causa di un progressivo e inarrestabile peggioramento della vista, comincia a scrivere occupandosi di problemi biologici. Diversamente da Wells, Huxley, pur non avendo una formazione letteraria, pone attenzione alla qualità letteraria di ciò che scrive e si riallaccia consapevolmente alla tradizione utopica, cioè a una tradizione "alta".

Quanto di tutto questo filtra nella fantascienza americana? Anche l'atto di nascita della fantascienza americana è meticcio: la volontà di costruire un percorso di lettura per chi si occupa di scienza e di tecnologia e la necessità divulgativa di rendere comprensibili e appetibili per un pubblico vasto concetti per esperti. Per questo motivo la fantascienza utilizza non modelli della letteratura alta ma modelli popular.

Alla base di entrambe le tradizioni, quella inglese e quella americana, abbiamo quindi un meticciato tematico consapevole, quello con la scienza, che si aggancia a un meticciato stilistico e linguistico in gran parte involontario. Duole dirlo ma, all'interno e all'esterno dell'ambiente fantascienza è circolata per un certo periodo la convinzione che non fosse necessario essere buoni scrittori per scriverne. Poiché in Italia arriviamo sempre un po' dopo, da noi questo pregiudizio ancora esiste, almeno fra chi è al di fuori della fantascienza, convinto che l'autore di genere al più possa scrivere romanzi d'avventura senza contraddizioni nella trama. Questa è un'ipoteca veramente pesante per la fantascienza.

Ho però l'impressione che nella fantascienza il problema dello stile, del linguaggio venga accantonato solo temporaneamente e che l'ibridazione resti semplicemente sommersa: da una parte si radicano tematiche matematiche e scientifiche, dall'altra la fantascienza si aggancia a un genere letterario colto come l'utopia, che implica una consapevolezza politica. Il linguaggio diventa perciò un problema centrale per gli autori che, possedendo consapevolezza politica, lo riconoscono come strumento di potere. Lo dimostrano le opere di due scrittori.

Il primo è Orwell che, in 1984 (2000), elabora addirittura il new speech, la neolingua, il linguaggio del potere, del quale espone i principi fondamentale in un'appendice al romanzo. All'inizio dell'appendice è scritto:

La Neolingua era la lingua ufficiale in Oceania ed era stata inventata per venire incontro alle necessità ideologiche del Socing, o Socialismo Inglese. Nell'anno 1984 non c'era ancora nessuno che usasse la Neolingua come unico strumento di comunicazione, sia a voce sia per iscritto. [...] Fine della Neolingua non era soltanto quello di fornire un mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini mentali proprie ai seguaci del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero.

La parola e i mezzi per diffonderla sono strumenti potentissimi di diffusione e di manipolazione delle notizie; la popolarità di Churchill, ad esempio, è legata alla sua capacità di utilizzare l'oratoria politica attraverso il mezzo radiofonico.

Orwell ha introdotto nella fantascienza il tema dell'uso del linguaggio per manipolare il pensiero. L'altro autore è Ray Bradbury. Con Fahrenheit 451 (1989) passiamo dal tema del linguaggio parlato a quello della lingua scritta. La prima azione della dittatura è il rogo dei libri; rispetto a Orwell, Bradbury compie un passo ulteriore, trattando della pericolosità del linguaggio nella sua forma permanente, di memoria consegnata ai libri. Questa memoria, in una dittatura deve essere distrutta, riformulata, ristrutturata.

Questi due autori hanno segnato una svolta e costituiscono due antecedenti importanti nello sviluppo della fantascienza contemporanea, anche per un altro motivo: Orwell soprattutto, ma anche Bradbury e altri grandi autori, presentano anche un'altra forma di meticciato, di ibridazione, molto importante e molto presente nel dibattito critico di questi anni: il meticciato tra letteratura fantascienza e letteratura mainstream, la letteratura colta. Sono entrambi autori ben noti a chi ama la fantascienza, ma inseriti nei programmi scolastici e studiati all'università, scrittori ai quali viene cioè riconosciuta una dignità letteraria. All'epoca in cui Orwell scrive, in realtà, il problema della collocazione, dell'appartenenza, non si pone nemmeno. Si porrà invece anni dopo, con Vonnegut, che rappresenta, da certi punti di vista, un caso analogo. Proprio Vonnegut, in Fantascieza, il primo saggio di Divina Idiozia, racconta della pubblicazione - prima in edizione rilegata poi in tascabile - di Piano meccanico (1979) e afferma:

E' stato allora che i critici mi hanno informato del fatto che ero uno scrittore di fantascienza. Non lo sapevo mica. Pensavo di aver scritto un romanzo sulla vita, sulle cose che mi toccava vedere e ascoltare a Schenectady, una città più che reale, un'inquietante presenza nel nostro quotidiano già tanto spaventoso. Da allora mi hanno fatto entrare a forza in un cassetto etichettato "fantascienza", e adesso vorrei tanto uscirne, soprattutto perché molti dei critici più rispettabili scambiano spesso questo cassetto per un orinale.

Vonnegut sostiene di non aver mai capito la discriminazione verso gli autori di fantascienza, sia in ambito americano che in ambito italiano. La difficoltà - dice Vonnegut, e io condivido abbastanza questa sua opinione - è dovuta al fatto che, spesso, un libro edito con l'etichetta fantascienza viene immediatamente accantonato nel dibattito critico. In realtà la posizione di Vonnegut, che io ammiro perdutamente, è ambigua; qualche tempo, durante una conferenza stampa fa Norman Spinrad, durante una conferenza stampa a Milano, ha affermato:

Vonnegut ha fatto il furbo: in realtà voleva scrivere fantascienza ma, quando Piano meccanico venne pubblicato, l'ambiente fandom e gli autori di genere non lo amarono subito, come invece fecero gli autori e i critici di mainstream. Così, ora, Vonnegut ci viene a raccontare che non intendeva scrivere fantascienza e che quell'etichetta gli è stata cucita addosso dai critici.

È possibile che Spinrad abbia ragione, indubbiamente l'atteggiamento di Vonnegut è una spia interessante dell'esistenza - almeno sino a tempi recenti - in ambito americano e sicuramente italiano, di una divisione singolare tra puristi e non all'interno della fantascienza. Recentemente, al termine di una giornata dedicata alla fantascienza all'università di Milano, dopo aver discusso a lungo di ibridazione e dell'impossibilità di applicare rigidamente l'etichetta fantascienza, lo scrittore Massimo Mongai ha dichiarato: "lo, che sono un appassionato di fantascienza e ne scrivo da una vita, ho trascorso la giornata a sentire gente che parlava di meticciato e di ibridazione ma ho tanta nostalgia della fantascienza con le astronavi e i mostri verdi con le antenne".

Accanto a quella dei puristi esiste però una posizione più sfumata che assegna al termine fantascienza un significato più ampio e che riconosce al genere una condizione di "liminarità", cioè la caratteristica di occupare uno spazio di confine, non soltanto fra generi nobili e meno nobili, ma anche fra letteratura e filosofia, e tra letteratura e scienza, come se la fantascienza fosse un'intersezione fra diverse forme, un luogo dove si incontrano queste contiguità. La liminarità può essere esplorata, giocata, attraverso scelte di linguaggio, scelte di stile, scelte tematiche. L'identificazione di una tradizione per questo tipo di fantascienza rappresenta sicuramente un problema: la tradizione colta più prossima è quella della narrativa utopica che accomuna gli autori più diversi, da Tommaso Moro a Jonathan Swift, e quindi cifre stilistiche molto diverse. In entrambi questi autori la scrittura è politica, non resta neutrale. Questa capacità di sporcarsi le mani, di entrare in relazione forte con la realtà, mi sembra la caratteristica più importante di tutto il genere, nel quale le scelte tematiche intendono costruire un quadro sociale attraverso l'ibridazione tra realtà, che può essere positiva o negativa, e finzione che può essere idealizzata o negativizzata. I riferimenti letterari, quindi, sono l'Utopia e, più spesso, la distopia, cioè il rovesciamento dell'utopia. Moro e Swift rappresentano proprio le due cifre stilistiche del genere: da una parte Moro con la teorizzazione estremamente seria, il rigore della presa di posizione etica se non propriamente politica, dall'altra ìl sarcasmo e la cifra grottesca, strumenti ancora più efficaci, forse.

Negli Stati Uniti, ciò di cui stiamo parlando è già accaduto, la liminarità è stata una rivendicazione, una bandiera per la fantascienza americana degli anni settanta. Basta pensare a un autore come Delany (1970), glottologo nero che scrive una fantascienza molto complessa in cui si riflette la sua passione scientifica per le strutture della lingua (qualunque lingua, comprese quelle immaginarie) e il suo discorso sul linguaggio complesso anche per gli esperti, tutt'altro che fantascienza da leggere in treno. Sempre Delany ha dedicato alla fantascienza un saggio piuttosto anomalo, purtroppo mai tradotto in Italia, che resta una delle migliori e più originali analisi del genere. Con assoluta coerenza con la posizione meticcia scelta nella produzione narrativa, Delany utilizza in questo caso anche una forma mista, usando come modalità comunicativa non soltanto la parola scritta e la spiegazione scientifica, ma anche i disegni, cioè il codice iconico, come accade spesso in glottologia, disciplina nella quale si usano moltissimi codici diversi. Tra l'altro l'oggetto di analisi di Delany non è soltanto la narrativa di fantascienza, ma anche la metanarrativa, cioè la riflessione sulla narrativa stessa.

Tra gli autori innovativi degli anni settanta non posso non citare Joanna Russ e il suo Female man (1989). Si tratta di un personaggio difficile ma anche fondamentale nella storia recente della fantascienza perché è la prima a portare un discorso dichiaratamente femminista in un genere che già non è più esclusivamente maschile ma che si ostina a presentarsi come tale. Il suo romanzo è un condensato di tutti i meticciati possibili: personaggi marginali, stili mescolati, dalla narrativa più tradizionale alla sceneggiatura, dialoghi sviluppati soltanto con il nome dei personaggi seguiti dai due punti e la battuta, testi poetici, filastrocche, canzoni... Un rimescolamento che spiazza i lettori americani introducendo una elaborazione stilistica che la fantascienza non era abituata a considerare come sua, e apre un terreno di sperimentazione stilistica sul quale si muoverà successivamente anche Gibson.

Sempre a proposito di donne, voglio ricordare Angela Carter, una scrittrice che trovo straordinaria e che non si riconosce in etichette di alcun genere. Carter è un ottimo esempio per il nostro discorso perché nelle sue opere ritroviamo, analogamente a quelle di Russ, una scrittura fantascientifica contemporaneamente comunicativa e colta, benché il suo percorso sia inverso: Carter non parte da una formazione fantascientifica che diventa letteraria ma da una formazione letteraria utilizzando anche alcuni archetipi della fantascienza per fare un discorso fortemente politico e radicato nella realtà. Ne è una dimostrazione La passione della nuova Eva (Carter 1984), una distopia che contiene tutte le caratteristiche ibride dell'utopia tradizionale e della fantascienza contemporanea, nonché l'esempio più chiaro del suo lavoro di ibridazione, cioè il ricorso al tema dell'alchimia; nel romanzo Carter continuamente descrive procedimenti alchemici. È evidente la volontà di richiamarsi, attraverso la figura del mago, di Prospero, a una tradizione letteraria riconoscibile, la tradizione inglese shakespeariana, nella quale, tra l'altro, l'alchimia è storicamente vista come ricerca scientifica. Lo stile del romanzo contiene di tutto e di più: riferimenti gergali, riferimenti letterari, termini colti...

Il tema della tecnologia ha maggior visibilità in un altro romanzo di Carter, tradotto in italiano come Le infernali macchine del desiderio (1995) che è la realizzazione letteraria di un rapporto osmotico tra realtà e finzione. La chiave del romanzo è un macchinario costruito dal dottor Hoffmann che trasforma i sogni in realtà, tanto che i personaggi non sanno più distinguere la realtà dai sogni: l'onirico e il reale si mescolano dando luogo a un'esperienza allucinatoria; l'esistenza di macchinari che eliminano il confine tra immaginario e reale è un espediente molto usato nella fantascienza.

E arriviamo al cyberpunk, esempio straordinario di movimento culturale che ibrida una genere di tecnologia definita e identificabile con il suo peso sociale. Questa ibridazione viene riconosciuta in termini molto chiari da Pat Cadigan, tanto nota come esponente del genere da essere identificata come "the queen of cyberpunk" dall'agente Scully in una delle puntate di X files.

Sicuramente vi sono altre ragazze terribili significative nel movimento, ma Cadigan ne è l'esponente più facilmente identificabile. La sua definizione del movimento è questa: "il cyberpunk rappresenta la collisione inevitabile tra sensibilità punk e i desktop computer", ovvero la collisione tra una pulsione sociale chiaramente determinata e una tecnologia altrettanto determinata con effetti marcati su questa pulsione. Personalmente ritengo scorretta la definizione di cyberpunk come movimento letterario: lo considero invece un movimento culturale con esiti letterari difficili da identificare. Tanti scrittori, come Gibson, Cadigan, Sterling e altri, hanno fatto riferimento allo stesso contesto sociale. L'esperienza letteraria di questo movimento è abbastanza circoscritta e ormai, parlando di cyberpunk si allude a una certa ambientazione metropolitana, nippo-americana a un certo tipo di storia spesso contaminata con il noir, ma questo, con l'esperienza culturale cyberpunk ha poco a che fare. Comunque, l'etichetta cyberpunk include molti tentativi di contaminazione. Sempre per citare Cadigan, un romanzo come Tea from an Empty Cup (non ancora tradotto in italiano) è un tentativo, non certo il primo ma sicuramente uno dei più riusciti, di contaminare l'ambientazione tipica dei romanzi di Cadigan: urbana, tecnologica, meticcia, con la detective story.

Che cosa sta accadendo oggi?

Ciò che accade in Italia non è ancora chiaro. In ambito anglo-americano, però, si stanno definendo alcune tendenze: i confini - non solo nella fantascienza ma tra i diversi generi - stanno diventando estremamente permeabili. Qualche tempo fa, Sterling, che personalmente ritengo un disastro come scrittore ma un bravissimo teorico, ha pubblicato sulla rivista "Catscan" un articolo dedicato interamente alla definizione del termine slipstream fiction, che egli ritiene attualmente l'unica definizione possibile di genere. Slipstream è il fantastico, una forma letteraria estremamente ampia che utilizza l'immaginario, il surreale e tutto ciò che non è mimetico della realtà, per dare maggior impatto a un messaggio radicato nella visione politica, ideologica del reale. Questa nuova definizione di genere, così ampia e contaminata, è molto interessante, tanto più perché arricchita da un elenco di scrittori, i più vari, che Sterling considera esponenti dello slipstream e che spesso sono scrittori mainstream. La tendenza è quindi quella di nobilitare la fantascienza rivendicando al genere autori considerati dalla critica esponenti alti della narrativa mainstrean, una tendenza che ha risvegliato un grande interesse verso gli strumenti tradizionali, i modelli, i procedimenti sperimentati più volte dalla fantascienza.

Nell'ambito dello slipstream viene inserito uno scrittore come Martin Amis (figlio di Kinsley Amis), che ha scritto un po' di tutto, ma soprattutto il bel Territori londinesi del 1992 (1998), un romanzo distopico ambientato in una Londra apocalittica. La vicenda è una storia noir narrata da uno scrittore newyorkese in crisi di ispirazione che in Londra riconosce tutte le caratteristiche della città apocalittica e che registra per iscritto una vicenda che vede accadere davanti ai propri occhi. Protagonista della storia è Nicolas X, una ragazza capace di vedere il futuro e di prevedere la catastrofe che distruggerà Londra a fine millennio. Nella storia confluiscono diversi temi fantascienza. Altro esponente slipstream è Will Self, uno scrittore interessante anche in quanto radiato dall'ordine dei giornalisti perché pescato a fumare uno spinello sull'aereo di Tony Blair. Simon, il protagonista del suo romanzo Great Apes (1999), è un artista che, dopo una festa e una notte di passione con la fidanzata, si sveglia trasformato in una scimmia in un mondo di scimmie. Tutta Londra è abitata da scimmioni che lo trattano come uno di loro affetto dalla psicosi del genere umano, una condizione patologica che lo porta a considerarsi un umano in un mondo dove gli umani sono ritenuti inferiori e chiusi negli zoo, mentre gli scimpanzé si sono evoluti, dando forma a una società molto più equilibrata della nostra. Il romanzo è giocato su una cifra completamente swiftiana, grottesca, sarcastica, con alcuni aspetti particolarmente interessanti. Il primo riguarda il linguaggio, e non avrei voluto essere nei panni del traduttore del libro, che ha fatto tra l'altro uno splendido lavoro. La costruzione di una nuova società ha infatti come conseguenza la costruzione di un nuovo linguaggio, ottenuto contaminando elementi che si immaginano tipici di una cultura evoluta dagli scimpanzé, con altri tipici del nostro modo di pensare che "è invece fortemente antropocentrico. L'altro aspetto rilevante è il capovolgimento di prospettiva, il ridicolizzare gli umani attraverso la distorsione del concetto di umanità: Simon, che alla fine si integrerà cominciando a credere di essere davvero uno scimpanzé, per tutta la storia pensa di essere un umano affetto da una certa psicosi, mentre gli scimpanzé lo considerano uno di loro affetto dalla psicosi opposta. L'impossibilità di far quadrare queste due prospettive trasforma il romanzo in una sorta di helzapoppin estremamente illuminante sul nostro modo.

Questo è ciò che accade nella fantascienza oggi, soprattutto in ambito americano ma anche in altre fantascienza europee. Non credo che la perdita della purezza abbia impoverito la fantascienza, fatta salva la legittimità del desiderio di chi, come Mongai, cerca ancora una fantascienza chiaramente riconoscibile. Personalmente credo che questa purezza sia un binario morto, destinato a battere strade già esplorate e non particolarmente innovative, al contrario della nuova fantascienza ibridata, che analizza la realtà con tematiche forti e stili forti.

Per chi come me è arrivato alla fantascienza in anni più recenti, è importante che essa non sia una scatola stagna e troppo stretta.

Riferimenti bibliografici