Il Foglio di Fantafolio

L'idea: un racconto di Marco Minicangeli

Pubblichiamo il primo racconto della raccolta "Spot-killer" di Marco Minicangeli, pubblicato con lo pseudonimo di Franz Krieg. Un perfetto esempio di elaborazione fantastastica-ma-non-poi-troppo della realtà.

Se pensate che sia esagerato vi cito un caso personale. "Il difficile ritorno del signor Carmody", lo ricordate? E' un famoso romanzo pubblicato in Italia da Urania per la prima volta nei primi anni '70 (mi perdoni Vegetti per le imprecisioni!).E scritto un decennio prima. Fra l'altro, una cosa che accadeva in un mondo parallelo erano l' etichette dei vestiti messe all'esterno dei vestiti stessi, per moda, pubblicità soprattutto.Qunado lo lessi nel 1972 mi caddero gli occhi sui miei panatoli nuovi, un paio di "Glove" con l'etichetta sul lato anteriore della cucitura, all'esterno della gamba....

L'IDEA

di franz krieg

- No! No! Franz... così non va!

Feci una smorfia con la bocca. Mi sdraiai sulla sedia girevole della mia scrivania e misi le mani dietro la testa. - Io... insomma... - provai a dire.

- Insomma un cazzo! - urlò McMinimy. - Non sei pagato per trovare delle scuse. Sei pagato per avere idee che facciano vendere dei prodotti!

- Stavo pensando che avremmo potuto...

- Non dirmi cosa stavi pensando! Non me ne frega un cazzo di cosa avremmo potuto! Voglio i risultati e non sentirmi dire cosa possiamo fare!

McMinimy si girò dirigendosi verso il suo ufficio. - Ultimo avvertimento! - urlò ancora prima di sbattermi la porta in faccia.

Mi voltai intorno.

Gli occhi dei miei colleghi erano fissi su di me ed io ero nella merda fino al collo.

* * *

Roland De Pol si alzò dal letto. Erano le sette di mattina, ma già faceva caldo, un caldo del cazzo.

Si avvicinò alla finestra e sbirciò attraverso le stecche della persiana chiusa. Giù in strada il traffico si era rimesso in movimento: fine delle ferie, si torna al lavoro, macchine in fila, rumore, smog. Le fabbriche e gli uffici riaprono, i negozi riaprono. Controesodo: tutti di nuovo in città a bestemmiare perché i semafori bloccano il traffico, perché non c'è parcheggio davanti agli uffici...

Roland andò in bagno e ficcò la testa sotto l'acqua. Bevve e sentì il suo corpo che rinasceva. Poi in cucina. Un caffé, come sempre, il caffé delle sette prima di andare al lavoro, vestirsi, prendere l'auto. No, stamattina no, perché non c'è più un lavoro. La lettera che aveva ricevuto era ancora lì sul tavolo. Bella sorpresa appena tornato dalle vacanze. Licenziato, senza una parola, solo una lettera. Un pezzo di carta e Roland non ha più il suo lavoro.

Cosa fare, pensò. Aveva quarantacinque anni e trovare un lavoro era una cosa impossibile. Fuori c'erano milioni di disoccupati, gente giovane, veloce, cattiva. Chi lo voleva un tipografo di quarantacinque anni con la pancia e i capelli che cominciavano a cadere?

Si vestì e scese in strada. Prese l'auto come faceva tutte le mattine ed arrivò alla metropolitana. Si infilò nel vagone pieno, il giornale in mano. Scese dopo quattro fermate. Entrò nel solito bar a prendere il caffé.

- Ciao Roland - lo salutò il barista.

Rispose con un gesto della testa. Non aveva molta voglia di parlare stamattina.

- Nervoso per il ritorno al lavoro?

Sei tutto bello abbronzato... dove sei andato a riposarti quest'anno... Le solite frasi, le solite parole.

La televisione stava trasmettendo il notiziario del mattino: "...le previsioni sul fronte occupazione per il mese di settembre non sono rosee. Il crollo del dollaro sui mercati non poteva non avere ripercussioni sul mercato interno: sembra che molti lavoratori al ritorno dalle vacanze abbiano trovato la lettera di licenziamento..."

Occupazione... crollo del dollaro... mercato... licenziamento... Quelle parole continuavano a rimbombare dentro il suo cervello.

* * *

Mi accesi una sigaretta e tornai con lo sguardo allo schermo del computer. La macchina fotografica era davanti a me. La guardai: un'idea, già un'idea del cazzo che facesse vendere quei cazzo di jeans, facile a dirlo. Il mercato era già pieno di jeans, di tutte le marche, colori... perché la gente avrebbe dovuto comprare i Tuparu?

Dove? pensai, dove prenderla un'idea che andasse? Mi sarebbe bastato un lampo e su questo avrei potuto costruire qualcosa, ma quel lampo non ne voleva sapere di accendersi. Poggiai il mento sul palmo delle mani chiudendo gli occhi. Un'idea... un lampo... dove... come... pantaloni... jeans...

- Dovresti provare a farti un giro in città - disse Milena alle mie spalle. - Camminare, distrarti.

Mi voltai. - Già, un giro in città... un cazzo. Non è il momento di fare passeggiate questo. Se non consegno una proposta decente entro dopodomani sono fottuto.

- E tu pensi che le idee vengano stando ad un tavolino? Cammina tra la gente, senti cosa vuole, cosa desidera... solo così ce la puoi fare.

Semplice a dirsi. I desideri della gente. Cosa desidera la gente?

* * *

Erano le tre di pomeriggio quando Roland rientrò nel suo appartamento. Una casa modesta dove era vissuto con sua moglie che se n'era andata da due anni. Niente figli: era rimasto solo, e aver perso il lavoro lo faceva sentire ancora più solo e disperato. Una merda.

Prese il borsone e lo appoggiò sul letto.

Doveva preparare tutto meticolosamente prima di andarsene. Doveva essere preciso, lasciare tutto in ordine, come aveva sempre fatto in casa o in ufficio. E se sua moglie o la sua azianda non apprezzavano, beh... cazzi loro.

Uscì che erano le quattro e mezza. Il primo giorno di lavoro dopo le vacanze stava terminando e la gente tornava lentamente a casa.

* * *

Alla fine feci come aveva detto Milena. Uscii dall'ufficio con la macchina fotografica in spalla e iniziai a passeggiare. Non potevo perdere quell'occasione, semplicemente non poteva. Era la prima campagna pubblicitaria che la Kroly & Kroly mi affidava e da questo dipendeva il mio futuro.

Devi avere un'idea, diceva sempre McMinimy, una mente senza idee non è una mente. Ma allora forse quello non era il lavoro per me, forse io tutte quelle idee non ce l'avevo.

Scesi sotto la metropolitana per confondermi tra la folla di impiegati che tornavano a casa dopo il primo giorno di lavoro. Avrei fatto meglio a fare un lavoro del genere? Ragioniere, magari geometra... un lavoro tranquillo, niente responsabilità, niente idee, otto ore al giorno, la TV la sera, la partita la domenica, i bambini, venti giorni di vacanze l'anno, autoradio sotto il braccio...

Camminavo lentamente sotto i corridoi, i cartelloni pubblicitari lungo le pareti mi accompagnavano:

Discount 3 x 2, un mondo di convenienza...

Cellular line, per parlare col mondo...

La donna moderna...

L'uomo che non deve chiedere mai...

Sogni, pensai, vendono sogni di seconda mano Franz. La pubblicità vera era un'altra cosa. Era poter capire la gente, inventare mode, obbligare sottilmente, era creatività, idee...

Devi avere un'idea... una mente senza idee non è una mente... Idee e fortuna.

Il caso è dio, Franz.

Il caso è dio.

Roland timbrò il biglietto e scese sulle scale mobili che lo portavano fino al marciapiede della metro.

Arrivò sotto e si sedette. Davanti a lui c'era il marciapiede per dove sarebbe arrivato il treno che raccoglieva tutti i lavoratori della zona industriale. Operai e impiegati del Ministero che scendevano tutti qui per cambiare metropolitana o per prendere i treni che portavano fuori città.

Ore: 16,45.

Eccolo il treno. Stava arrivando.

Roland lo vide fermarsi ed invidiò quelle persone che si lamentavano per essere tornati ai ritmi monotoni di tutti i giorni. Anche lui lo aveva fatto e sapeva come funzionava.

Questa non è vita... che palle... Ho deciso, cambio lavoro... voglio qualcosa che mi dia soddisfazione... quasi quasi provo anch'io ad aprire un campeggio al mare... Poteva quasi sentirli quei pensieri. Erano stati i suoi pensieri fino a pochi giorni prima. Ora non più.

Il treno aprì le porte e una marea di persone invase il marciapiede opposto a quello dove si trovava. Tutti di corsa alla ricerca della loro uscita, sulle scale, lungo i corridoi.

Il treno chiuse le porte e ripartì.

Roland guardava.

Fui investito da un fiume di persone che mi venivano contro. Cercai di rimanere fermo, ma fui sballottato da quella mandria imbufalita che non vedeva l'ora di tornare a casa.

Chiusi gli occhi per cercare di captare i loro pensieri, le idee della mandria.

Vuoto grigio, tutto ciò che riuscii a captare fu un vuoto grigio, enorme, spaventoso. Forse io non ero veramente in grado, non avevo la capacità ci percepire cosa voleva la gente, o forse quella gente non voleva nulla.

Roland posò la borsa a terra e si sedette sulla panchina. Era vuota. Aprì la cerniera e da sotto gli asciugamani tirò fuori il fucile da caccia a cui aveva tagliato le canne.

Lo imbracciò sotto la spalla e caricò.

Il quel momento il treno stava uscendo dalla stazione della metropolitana.

Una ragazza sul suo stesso marciapiede lo guardò con una strana espressione sul volto. Roland si avvicinò un paio di passi sorridendole. - Ciao - disse, poi le puntò il fucile alla testa e sparò.

Tump! Tump! Due colpi.

La ragazza stramazzò a terra e scalciò un paio di volte, un riflesso nervoso in un corpo già morto. Fu la prima a cadere.

Sul marciapiede opposto alcune persone si voltarono. Una signora urlò qualcosa. Poi il panico, un fuggi fuggi generale.

Roland caricò di nuovo il fucile. Cartucce a pallettoni, si aprivano con una rosa terribile, mortale.

Tump! Tump! Altri due colpi.

Due signore caddero a terra.

I primi due colpi. Rimbombarono sotto la metro con un rumore sordo. La mandria si fermò di colpo voltandosi intorno per capire cos'era successo e se quei colpi significavano pericolo.

Tump! Tump!

Altri due colpi, stavolta più vicini. Erano spari quelli, cazzo, spari. Qualcuno stava sparando sotto la metropolitana. Un paio di signore caddero pochi metri più avanti: avevano il cranio fracassato. Una rotolò sui binari.

La mandria si spaventò, iniziò a gridare, a correre. Istintivamente scattai una foto, poi iniziai a guardarmi intorno per capire da dove provenivano gli spari.

Era sul marciapiede di fronte. Un uomo, avrà avuto quarant'anni.

Un altro colpo, stavolta più vicino. Il signore alla mia sinistra si gettò a terra urlando qualcosa, aveva il volto coperto di sangue. Gli puntai la macchina in faccia e scattai, scattai con cattiveria, come se a sparare fossi stati io.

Forse era questo. Forse era questo ciò che dovevo cercare... questa cattiveria... questo dolore...

La stazione divenne un'inferno. Sul marciapiede ed sui ai muri c'erano schizzi di sangue raggrumato. Un pazzo lì davanti stava sparando sulla gente come su dei birilli. Rideva, rideva e sparava. E la gente cadeva, continuava a cadere e ad urlare.

Gli puntai la macchina fotografica addosso.

Click... click... due, tre, quattro foto. Il pazzo sparava ed io scattavo fotografie.

Poi dall'alto si sentirono altri colpi. Alzai lo sguardo: due poliziotti stavano mirando sul pazzo.

Lo vidi barcollare, colpito, cadere a terra, rialzarsi appoggiandosi ai cartelloni pubblicitari. Il colpo che lo finì fu alla testa. Il pazzo piegò le gambe e cadde in ginocchio, la faccia al muro. Tre, quattro scatti: fotografa Franz, scatta... scatta... merda...

Il caso è dio Franz, pensai. Il pazzo era andato a morire proprio addosso un enorme cartellone pubblicitario dei jeans Tuparu.

* * *

- Allora... racconta.

- E' stato uno sballo. Me la sono fatta addosso, ma è stato uno sballo.

Ero crollato su una sedia e McMinimy si era seduto davanti. Mi avevano portato dell'acqua che non riuscivo a bere. Quando ero entrato mi aveva quasi strappato la macchina fotografica dalle mani ed aveva portato il rullino a sviluppare.

- Ha iniziato a sparare... Tump... Tump... e la gente cadeva... c'era sangue... sangue ovunque... urla... un inferno...

- Merda, come mi sarebbe piaciuto essere al tuo posto. Penso che quelle foto valgano una fortuna Franz. Qualsiasi rivista le pagherebbe oro.

Eccole le foto. Milena le stava portando dal laboratorio.

- Che culo... - disse guardondomi. Me le porsi.

Chiare, perfette: il pazzo che spara... un signore con il cranio mezzo maciullato... il pazzo che carica il fucile... che viene colpito dai poliziotti... che va a morire sotto il cartellone pubblicitario della Tuparu jeans.

La Tuparu jeans!

Mi guardai con McMinimy. Lui sorrise.

- Forse ci siamo - dissi - ecco l'idea...

( continua...)